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"Non pensavamo avrebbe usato un gommone"

Incontro a Erbil con la famiglia di una vittima di un naufragio nella Manica – “Per parlare con i trafficanti basta una telefonata”

  • 30 marzo 2023, 05:50
  • 20 novembre, 11:40
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Morire tra Francia e Regno Unito

SEIDISERA 29.03.2023, 18:59

  • Keystone
Di: SEIDISERA/Paola Nurnberg 

Il 24 novembre 2021 ha marcato la peggiore tragedia fino a quel momento registrata nella Manica, con una trentina di migranti partiti da Calais e morti nelle fredde acque che dividono la Francia dal Regno Unito. Un viaggio che per molti di loro, in larga parte curdi, fino in Francia era stato fatto legalmente, con un visto Schengen. Mancava solo quell’ultimo tratto, per raggiungere un parente, un marito, un fidanzato. La nostra inviata in Iraq, Paola Nurnberg, ha incontrato a Erbil la famiglia di una delle vittime:

“L’ultima volta che l’ho sentita era in Germania. Mi ha detto “mamma, vado”. Le ho chiesto come sarebbe andata, e lei ha risposto “non lo so, lo vedrò quando sarò lì”. Era felice, non era preoccupata. Io, invece, lo ero”.

Bayan racconta dell’ultima telefonata fatta con sua figlia Mahabad, morta di freddo nella Manica, quando mancava tanto così dal realizzare il suo sogno, ma il gommone su cui viaggiava insieme ad altri 30 si è bucato, affondando. Un sogno costato una giovane vita, oltre a 20'000 dollari per un visto Schengen - di cui la Gran Bretagna non fa però parte - ottenuto in Kurdistan a causa di un sistema corrotto.

Mahabad, 32 anni, due figli piccoli, è morta dopo 133 telefonate fatte dai migranti disperati, nella notte. Telefonate ignorate e, mentre si disputava su chi avesse la responsabilità dei soccorsi, il tempo passava e il gelo dell’acqua faceva collassare uno dopo l’altro gli organi interni di tutte quelle persone.

“Sapevamo che avrebbe tentato di arrivare sulle coste inglesi con l’aiuto dei trafficanti, ma non pensavamo andasse con un gommone”, dice il fratello. Anche lei non lo sapeva, solo il marito era al corrente. Noi lo abbiamo saputo quella notte, dopo il selfie. Ma quella notte sarebbero partiti tanti altri gommoni”.

L’ultimo selfie sul telefonino

Bayan mi fa vedere l’ultima foto sul telefonino. Un selfie sorridente accanto alla sua amica, con indosso i giubbotti salvagente.

“Quando è successo non me l’hanno detto subito”, racconta ancora la mamma. “I miei figli lo hanno scoperto ma io l’ho saputo solo due giorni dopo. C’erano qui i miei nipotini, da quel giorno non mi sono più ripresa, sono devastata”.

Il marito l’aspettava nel Regno Unito, dove lavorava da tempo, e lei lo voleva raggiungere ma per quell’ultimo tratto europeo serve un visto. O si entra clandestinamente. In fondo altri suoi parenti ce l’avevano fatta, lì come altrove. Tre suoi cugini vivono in Svizzera da tempo, a Zurigo e a Sciaffusa.

La storia di Mahabad si intreccia con quella di moltissimi migranti costretti ad affidarsi a trafficanti senza scrupoli. Aziz, 33 anni curdo siriano, vive a Erbil da dieci anni con la sua famiglia, dopo essere scappato da Raqqa, in mano all’Isis. Ha provato a raggiungere l’Europa almeno tre volte.

“La prima volta che ci ho provato era il 2019, delle persone mi dicevano che avrei potuto raggiungere la Turchia dall’Iran. Mi hanno chiesto 2’000 dollari. Si cambia spesso auto, che ci lasciano vicini ai checkpoint o alle frontiere, e i migranti attraversano a piedi camminando per ore”.

“Basta una telefonata”

“Entrare in contatto coi trafficanti è facilissimo – dice - basta fare una telefonata”. Facciamolo ora, dico, chiediamo di andare in Italia. Chiamiamo.

“Ho una persona che vorrebbe raggiungere l’Europa e l’Italia dalla Turchia, mi aiuti?”

“No no, quella rotta non va bene, si fa solo con il visto e legalmente”, è stata la risposta, sbrigativa. Forse ha capito, e non insistiamo.

“Sono sempre tornato indietro perché arrivati al confine con l’Iran ci chiudevano in alcune case, eravamo fino a 500 persone che venivano da Bangladesh, Afghanistan, Siria, Iraq”, continua Aziz. Se non facevamo come volevano loro, dicevano che rischiavamo di finire in mano alla polizia iraniana, dove ci avrebbero arrestato e picchiato. Per questo sono sempre tornato qui, pagando 1’200 dollari”.

Lo faresti ancora? Gli chiedo, alla fine

“Dall’Iran?” Risponde lui. “No! Impossibile…”

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