L’ANALISI

Taiwan ha imparato dai suoi errori

Il sisma del 21 settembre del 1999 causò la distruzione di circa 100’000 edifici e oltre 2’400 morti, ecco perché stavolta i danni sono stati contenuti. C’è qualcosa che non ha funzionato? E come si sta comportando la Cina?

  • 4 aprile, 16:34
  • 4 aprile, 16:44
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Un passeggero legge le notizie sul terremoto mentre viaggia in metropolitana a Taipei

  • Reuters
Di: Lorenzo Lamperti 

Quando hanno iniziato a circolare le prime, impressionanti, immagini del terremoto di mercoledì 3 aprile a Taiwan, il mondo esterno ha avuto la sensazione di trovarsi di fronte a un disastro di proporzioni immani. Palazzi e ponti che tremano, alti edifici inclinati a 45 gradi, pezzi di strada crollati, frane, treni scossi con una forza paurosa. Chi si trova a Taiwan, ha avuto quel timore per qualche minuto, durante la lunga e potentissima scossa di magnitudo 7.2 che è stata avvertita con forza su tutto il territorio dell’isola. Eppure, al di là della città di Hualien e dei territori limitrofi, sulla costa orientale dell’isola, appena scesi per strada si è subito capito che non si trattava di una tragica replica del disastro del 21 settembre 1999. Allora, un sisma di magnitudo 7.6 che qui a Taipei e dintorni è conosciuto come “921”, causò oltre 2’400 morti e danni catastrofici. Stavolta, nonostante una conta dei danni non trascurabile, Taiwan ha retto. Viene dunque da chiedersi il motivo, oltre a provare a sciogliere alcuni dei nodi legati al terremoto e al suo impatto.

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Taiwan, sale il bilancio del terremoto

Telegiornale 04.04.2024, 12:30

Perché i danni sono stati contenuti?

Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto, la prevenzione. Il disastro del 1999 ebbe conseguenze molto ampie non solo a livello di vittime e feriti, ma anche a livello legale e politico. Diversi costruttori e architetti finirono in carcere per non aver rispettato le norme di sicurezza, fin lì piuttosto blande. Negli anni e decenni precedenti si era costruito ovunque, in modo per lo più sregolato, senza tenere abbastanza conto dell’intensa attività sismica della regione. Nel mirino erano finiti soprattutto i soft story, un termine che si applica agli edifici il cui piano terra è meno rigido di quelli sovrastanti. I piani morbidi sono spesso caratterizzati da aperture relativamente grandi di porte e finestre e hanno meno tramezzi rispetto ai livelli sovrastanti. Agli architetti taiwanesi sembrava il modello vincente, soprattutto sul fronte economico. Il motivo? La diffusione capillare di ampi spazi commerciali aperti al piano terra con unità abitative regolari ai piani superiori. Peccato che nel 1999 crollarono a ripetizione. Il bilancio finale fu di 51’711 edifici completamente distrutti, 53’768 edifici gravemente danneggiati e un totale di 300 miliardi di dollari taiwanesi (10 miliardi di dollari statunitensi) di danni. Gli sfollati furono oltre centomila. La catastrofe fu anche una delle ragioni alla sconfitta del Kuomintang alle elezioni del 2000. Fin lì, il partito che fu di Sun Yat-sen e Chiang Kai-shek aveva governato ininterrottamente a Taiwan dalla fine della Seconda guerra mondiale. In molti definiscono il 921, anche in questi giorni citato da tutti i taiwanesi under 30 come termine di paragone, una “sveglia”. Il Governo operò una svolta severissima, imponendo regole davvero stringenti sulla costruzioni di nuovi edifici o la ristrutturazione di quelli già completati. Il rispetto delle misure antisismiche è diventato un mantra ineludibile. Non solo. Le stesse regole antisismiche continuano a essere costantemente aggiornate, visto che a Taiwan si registrano in media quasi 2500 episodi sismici all’anno, di cui oltre 200 percepibili anche dai suoi abitanti.

In secondo luogo, i danni sono stati più contenuti anche grazie a una risposta all’emergenza più pronta e immediata che in passato, soprattutto più consapevole. È stato infatti istituito un centro di comando operativo di gestione dei disastri naturali che ha ampi spazi di manovra, indipendente da Governo e Parlamento.

In terzo luogo, conta anche la risposta degli abitanti, la cui modalità è strettamente correlata ai primi due punti. La fiducia nella resilienza strutturale e operativa facilità l’assenza di panico e una risposta ordinata. Mercoledì, in tante scuole dell’isola gli studenti sono tornati in classe solo poche decine di minuti dopo il sisma. Non si è verificato nessun fuggi fuggi. Simbolici in tal senso i video in cui si vedono giornalisti proseguire il loro lavoro anche durante la scossa, o pendolari attendere ordinatamente la fine degli impressionanti tremori per riprendere la marcia verso il luogo di lavoro.

A favorire danni inferiori sono state anche la geografia e le tempistiche. Nel 1999 l’epicentro era stato a poca distanza da Taipei, in una zona densamente popolata. Stavolta invece è stato localizzato in un’area prevalentemente rurale. E poco prima delle otto del mattino, vale a dire nell’ora di punta in cui tantissime persone non si trovavano non più a casa, ma non ancora a lavoro.

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Soccorritori vicino a un edificio danneggiato dal terremoto a Hualien

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C’è qualcosa che non ha funzionato?

Il terremoto ha comunque causato qualche polemica sul fronte interno. Molti cittadini hanno lamentato l’assenza di messaggi di allerta, giunti per lo più a chi si trovava nei pressi dell’epicentro. Altrove, anche dove i danni sono stati piuttosto rilevanti o comunque la scossa si è avvertita con grande intensità, non è arrivato nessun messaggio. L’opposizione del Kuomintang (KMT) ha criticato il Governo del Partito progressista democratico (DPP) per la mancanza di comunicazioni nell’immediato. Qualcuno ne ha approfittato per ricordare il falso allarme missile recapitato a tutti i presenti sul territorio taiwanese, solo pochi giorni prima delle elezioni presidenziali del 13 gennaio. Anche alcuni esponenti della maggioranza hanno manifestato la necessità di migliorare questo aspetto.

Qual è l’impatto sulla produzione di chip?

Ricordando la grave carenza di chip del 2021, causata dalla grave siccità che colpì Taiwan, in molti si sono subito preoccupati per le possibili conseguenze del sisma sull’industria dei microchip. Il settore, sempre più strategico, è dominato dai colossi taiwanesi, soprattutto per quanto riguarda il comparto di fabbricazione e assemblaggio. La TSMC detiene da sola oltre il 50% dello share globale di fabbricazione di chip e circa il 90% di quelli tecnologicamente più avanzati, cioè di dimensioni inferiori ai 10 nanometri. La preoccupazione globale si poggia sul fatto che le aziende taiwanesi, a differenza di tante altre, fabbricano chip per conto terzi. E riforniscono dunque tutte le grandi realtà tecnologiche mondiali, a partire da Apple e Intel.

I timori si collegano anche a quanto accaduto nel 1999, quando gli impianti del parco scientifico di Hsinchu (una città nella città con decine di fabbriche di semiconduttori) restarono chiusi per sei giorni. Ciò portò a triplicare i prezzi globali dei chip di memoria per computer, anche a causa dei danni riscontrati sui macchinari. Un trauma che stavolta non dovrebbe ripetersi. Mercoledì, quasi tutti gli impianti sono stati evacuati per precauzione. E TSMC ha comunicato il danneggiamento di “alcune apparecchiature”, assicurando però che le “macchine più importanti, tra cui tutte le apparecchiature per la litografia a ultravioletti, non hanno subito danni”. Nelle 10 ore successive al terremoto, il tasso di recupero delle attrezzature ha superato il 70%. Si conta di arrivare al 100% a breve. Per recuperare il terreno perduto ed evitare fluttuazioni sui prezzi, le linee produttive resteranno a pieno regime anche durante il lungo fine settimana del Qingming Festival, la festa degli antenati cominciata giovedì 4 aprile. Di certo il blocco prolungato del 1999 non si ripeterà. Il colosso statunitense Nvidia ha confermato di non aspettarsi un impatto sulle spedizioni di chip da Taiwan.

Un edificio collassato in parte dopo la scossa sismica a Taiwan

Un edificio collassato in parte dopo la scossa di terremoto che mercoledì ha investito Taiwan

  • Keystone

Come si sta comportando la Cina?

C’è chi ha sostenuto che la Cina abbia inviato 30 jet e 9 navi intorno a Taiwan proprio nel giorno del terremoto. Non è così. Ogni mattina, verso le 9 locali, il ministero della Difesa di Taipei comunica i dati delle manovre militari cinesi nella regione intorno a Taiwan. Ma sono sempre relativi alle 24 ore precedenti alle 6 del mattino. Dunque i 30 jet e le 9 navi del caso si erano mosse nella regione prima del terremoto, con 20 jet entrati nello spazio di identificazione di difesa aerea (non lo spazio aereo) taiwanese. Nelle 24 ore precedenti alle 6 del mattino di giovedì 4 aprile, invece, nessun jet o nessuna nave cinese ha oltrepassato la linea mediana, il confine non ufficiale sullo Stretto di Taiwan. Una piccola tregua di manovre militari che sono state da tempo regolarizzate e intensificate, soprattutto dopo la visita a Taipei di Nancy Pelosi, nell’agosto del 2022.

La Cina si è peraltro offerta a fornire assistenza umanitaria. Difficile, se non impossibile, che l’offerta venga accettata a livello politico o governativo. Anche nel 1999, l’allora presidente Jiang Zemin si disse disponibile ad aiutare. Ma, nelle settimane seguenti, Taipei accusò Pechino di aver impedito l’arrivo di aiuti dall’estero, per esempio non concedendo il passaggio sul suo spazio aereo a un cargo russo. Ricostruzione poi smentita negli anni successivi da Mosca, quando i rapporti con la Cina si erano già fatti più stretti.

Resta più fattibile, invece, che la solidarietà viaggi sul canale privato. Come d’altronde accaduto in passato, in occasione dei disastri naturali che hanno colpito la Cina continentale. Con una mossa molto rara, Weibo (il Twitter cinese) ha diramato un avviso pubblico che chiede agli utenti di non fare commenti offensivi sul terremoto. La piattaforma ha rimosso oltre 300 post e sospeso temporaneamente oltre 20 account.

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