Sul lettino del laboratorio giace uno scheletro, tra le tibie alcune carte da visita, qualche banconota americana, degli occhiali da sole e una piccola bibbia in spagnolo. “A giudicare da quei documenti, dice Jennifer Voellner, veniva dal Perù; dall’analisi del femore, si deduce si tratta di un uomo”. Di più l’antropologa forense non azzarda. Dall’esame delle ossa “non si deduce una morte violenta, forse la causa è il caldo, la disidratazione”. “Lo scheletro è un puzzle di 206 pezzi”, dice sorridendo, per cercare di spiegare il proprio lavoro.
L'antropologa forense Jennifer Voellner
Dal 2017 la dottoressa Voellner lavora nel laboratorio dell’obitorio della Contea di Pima, nel sud dell’Arizona, e cerca di identificare i resti dei migranti trovati senza vita nel deserto dalla Border Patrol. Una preoccupazione che lo Stato ha iniziato ad avere dal 2000, quando i numeri dei ritrovamenti hanno reso significativo il fenomeno. Quasi 4’000 persone sono state recuperate senza vita da allora. I numeri sono costanti. Nel 2019 [n.d.r.: dopo il giro di vite di Trump alla frontiera) si vede un’impennata, vi sono dunque legami con l’azione politica? “Non necessariamente. A volte vengono rinvenuti resti umani vecchi di diversi anni… – spiega Voellner. C’è un aumento delle persone decedute di recente. Ma può essere dovuto pure ai cambiamenti climatici, il 2020 e il 2021 sono stati anni incredibilmente caldi, e non alla legislazione in vigore”.
Nell'ultimo quarto di secolo sono stati recuperati in Arizona i corpi di quasi 4'000 migranti
Due terzi dei resti dei migranti ritrovati vengono identificati. Grazie all’esame del DNA o della dentatura e alla presenza di registri aggiornati nei paesi di provenienza. “La maggior parte di loro, spiega l’antropologa forense, è uomo, in età lavorativa, tra i 25 e i 40 anni”. Capita assai di rado, racconta, di trovare i resti di donne e bambini. Le famiglie scelgono le rotte più tradizionali e non si azzardano a continuare il loro viaggio della speranza attraverso il deserto. Le ossa e gli averi di coloro cui non si è ancora riusciti a dare un nome e un cognome sono custoditi in scatole di cartone depositate in un rimorchio all’esterno dei laboratori della contea. Il lavoro, attorno all’obitorio di Tucson, è aumentato e ora medici legali e ricercatori si apprestano a traslocare in una nuova sede più spaziosa.
Arizona: la barriera al confine col Messico, a Nogales
Arrivata in Arizona dall’Ohio nel 2017, dopo aver studiato in Michigan, Jennifer Voellner vede da un’angolatura diversa la crisi migratoria che tiene banco nella politica statunitense. I resti umani analizzati testimoniano silenziosamente il dramma di questi tempi. Per lei identificarli è un lavoro scientifico e una questione di dignità. “È importante, spiega, cercare di dare a ogni essere umano il nome che gli è stato dato alla nascita da coloro che lo hanno amato”. Anche se riconosce il paradosso del suo operato. “Il successo per me, dice, consiste nell’identificare una persona e restituirla alla sua famiglia. Anche se questo è il giorno peggiore per i suoi famigliari. Ma almeno sanno. Non avranno tutte le risposte volute, ma almeno qualcuna”. Perché anche se i loro cari non sono riusciti ad arrivare dove desideravano, c’è sempre qualcuno che non smette di attendere loro notizie.