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USA, la crisi migratoria vista dal coroner dei senza nome

In Arizona un’equipe di medici legali e antropologi cerca di restituire un’identità ai migranti trovati morti nel deserto

  • 30 agosto, 08:35

USA: un altro sguardo sull'immigrazione illegale

Telegiornale 31.08.2024, 20:00

Di: Massimiliano Herber

Sul lettino del laboratorio giace uno scheletro, tra le tibie alcune carte da visita, qualche banconota americana, degli occhiali da sole e una piccola bibbia in spagnolo. “A giudicare da quei documenti, dice Jennifer Voellner, veniva dal Perù; dall’analisi del femore, si deduce si tratta di un uomo”. Di più l’antropologa forense non azzarda. Dall’esame delle ossa “non si deduce una morte violenta, forse la causa è il caldo, la disidratazione”. “Lo scheletro è un puzzle di 206 pezzi”, dice sorridendo, per cercare di spiegare il proprio lavoro.

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L'antropologa forense Jennifer Voellner

  • Massimiliano Herber/RSI

Dal 2017 la dottoressa Voellner lavora nel laboratorio dell’obitorio della Contea di Pima, nel sud dell’Arizona, e cerca di identificare i resti dei migranti trovati senza vita nel deserto dalla Border Patrol. Una preoccupazione che lo Stato ha iniziato ad avere dal 2000, quando i numeri dei ritrovamenti hanno reso significativo il fenomeno. Quasi 4’000 persone sono state recuperate senza vita da allora. I numeri sono costanti. Nel 2019 [n.d.r.: dopo il giro di vite di Trump alla frontiera) si vede un’impennata, vi sono dunque legami con l’azione politica? “Non necessariamente. A volte vengono rinvenuti resti umani vecchi di diversi anni… – spiega Voellner. C’è un aumento delle persone decedute di recente. Ma può essere dovuto pure ai cambiamenti climatici, il 2020 e il 2021 sono stati anni incredibilmente caldi, e non alla legislazione in vigore”.

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Nell'ultimo quarto di secolo sono stati recuperati in Arizona i corpi di quasi 4'000 migranti

  • RSI

Due terzi dei resti dei migranti ritrovati vengono identificati. Grazie all’esame del DNA o della dentatura e alla presenza di registri aggiornati nei paesi di provenienza. “La maggior parte di loro, spiega l’antropologa forense, è uomo, in età lavorativa, tra i 25 e i 40 anni”. Capita assai di rado, racconta, di trovare i resti di donne e bambini. Le famiglie scelgono le rotte più tradizionali e non si azzardano a continuare il loro viaggio della speranza attraverso il deserto. Le ossa e gli averi di coloro cui non si è ancora riusciti a dare un nome e un cognome sono custoditi in scatole di cartone depositate in un rimorchio all’esterno dei laboratori della contea. Il lavoro, attorno all’obitorio di Tucson, è aumentato e ora medici legali e ricercatori si apprestano a traslocare in una nuova sede più spaziosa.

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Arizona: la barriera al confine col Messico, a Nogales

  • Massimiliano Herber/RSI

Arrivata in Arizona dall’Ohio nel 2017, dopo aver studiato in Michigan, Jennifer Voellner vede da un’angolatura diversa la crisi migratoria che tiene banco nella politica statunitense. I resti umani analizzati testimoniano silenziosamente il dramma di questi tempi. Per lei identificarli è un lavoro scientifico e una questione di dignità. “È importante, spiega, cercare di dare a ogni essere umano il nome che gli è stato dato alla nascita da coloro che lo hanno amato”. Anche se riconosce il paradosso del suo operato. “Il successo per me, dice, consiste nell’identificare una persona e restituirla alla sua famiglia. Anche se questo è il giorno peggiore per i suoi famigliari. Ma almeno sanno. Non avranno tutte le risposte volute, ma almeno qualcuna”. Perché anche se i loro cari non sono riusciti ad arrivare dove desideravano, c’è sempre qualcuno che non smette di attendere loro notizie.

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