Di fronte alla tattica di Donald Trump per porre fine al conflitto in Ucraina, esplicitatasi attraverso lo scontro alla Casa Bianca con Volodymyr Zelensky, Vladimir Putin ha mantenuto una posizione cauta: al di là della propaganda e dei toni poco diplomatici da ogni versante, la sostanza da Mosca è che l’approccio al dialogo è caratterizzato dal pragmatismo. Lo stesso che contraddistingue il nuovo posizionamento statunitense ed è per questo la Russia stessa ha parlato di visioni analoghe con gli USA, sottolineando il primato della Realpolitik sulle visioni ideologiche. Dopo il disastro diplomatico dello Studio ovale, il presidente ucraino, insieme con alcuni leader europei e la spinta del segretario generale della NATO Mark Rutte, sta cercando di ricomporre i cocci: la linea inevitabile è quella appunto di un maggiore realismo politico, anche se puntellato dalla retorica.
Il primato del realismo politico
Nei fatti la proposta avanzata da Gran Bretagna e Francia di una tregua ibrida, che non contempli i combattimenti sul terreno, e la costituenda coalizione dei volonterosi, sempre trainata da Londra e Parigi, per il sostegno dell’Ucraina nel peacekeeping postbellico, indicano concretamente che anche sul fronte europeo la prospettiva sia quella di avvicinarsi al tavolo delle trattative e non di sostenere il progetto di una vittoria ultima dell’Ucraina con il respingimento dello forze russe ai confini del 2014, che non è perseguito nemmeno dallo stesso Zelensky, a cui è stato suggerito di riconciliarsi con Trump. Se il percorso determinato dal realismo politico è complicato da adottare per Kiev, Bruxelles e vari leader europei, tra Casa Bianca e Cremlino la questione sembra essere già molto chiara e non è certo un caso che i primi incontri tra le rispettive delegazioni a Riad e Istanbul siano stati caratterizzati dalla concretezza.
Il ruolo delle sanzioni
Un aspetto cruciale dei negoziati tra Russia e Stati Uniti è proprio quello economico, come ha simboleggiato la presenza al primo incontro in Arabia Saudita di Kirill Dmitriev, direttore del RDIF, il fondo sovrano russo per gli investimenti diretti e uno degli uomini chiave della nuova generazione del sistema putiniano. Se da un lato Mosca, già ancor prima di questa fase di sondaggi, ha fatto capire il tema dell’ammorbidimento delle sanzioni sia sul tavolo delle trattative, dall’altro anche Washington ha manifestato la volontà di voler convergere sull’argomento ed è stato lo stesso segretario di Stato al Tesoro Scott Bessent ad affermare che lo strumento delle sanzioni potrebbe essere utilizzato per incanalare i colloqui di pace, usando in pratica un po’ il bastone e un po’ la carota.
L’interesse russo, nonostante l’economia di guerra sia efficiente e il contesto internazionale positivo, grazie al supporto dei partner non allineati con l’Occidente, è quello di ricostruire relazioni profittevoli, sia con gli USA che con i Paesi europei che lo vorranno. Per ora Trump non ha comunque annunciato nessun cambio di rotta rispetto alle misure adottate negli anni precedenti da Joe Biden e l’Unione Europea dal canto suo ha recentemente approvato un altro pacchetto sanzionatorio nei confronti di Mosca. Tutti i provvedimenti, se hanno inciso almeno in parte sull’economia russa, non hanno fatto però cambiare la linea del Cremlino in Ucraina e vari settori del sistema economico russo non sono stati nemmeno toccati o solo parzialmente sfiorati e i pilastri energetici del nucleare, del gas e del petrolio sono rimasti tali.
Il caso Nord Stream
Proprio nel campo energetico si potrebbe assistere addirittura ad un vero capovolgimento se si concretizzassero i rumors che si rincorrono da qualche mese e che vorrebbero il rilancio del gasdotto Nord Stream proprio sull’asse tra Mosca e Washington. Alla fine dello scorso anno era uscito il nome del miliardario Stephen Lynch, sostenitore del nuovo presidente statunitense, come uno dei possibili investitori interessati all’acquisto della pipeline, sabotata da un commando ucraino nel settembre del 2022. L’unica cosa certa per adesso è solo la Danimarca ha concesso a Gazprom l’autorizzazione per procedere alla riparazioni nelle proprie acque territoriali che dovrebbero essere ultimate entro quest’anno. Sebbene per ora si tratti poco più che di speculazioni, il caso Nord Stream è l’esempio di come il dialogo tra Mosca e Washington sia aperto a ogni possibilità. Resta da vedere cosa davvero accadrà, considerando soprattutto che il Cremlino su alcuni punti politici, vale a dire lo status neutrale dell’Ucraina, fuori dalla NATO, e l’annessione dei territori conquistati sin dal 2014, dalla Crimea al Donbass, non scenderà a compromessi.