Vladimir Vladimirovich Putin è stato eletto per la prima volta presidente il 14 marzo del 2000. Allora trionfò con oltre il 70% dei voti (affluenza al 64,3%) al primo turno davanti all’esponente del Partito comunista Nikolai Kharitonov. Il 17 marzo del 2024 lo scenario è lo stesso e se Kharitonov è uno dei tre candidati che sfidano l’attuale inquilino del Cremlino, insieme con il leader di Nuova Gente Vladislav Davankov e quello del Partito liberaldemocratico Leonid Slutksy, Putin alla fine dei conti sarà il vincitore anche questa volta. Resta da vedere con quale percentuale e soprattutto con quanti russi, degli oltre 100 milioni che ne hanno diritto, andranno davvero alle urne: il dato sull’affluenza sarà in qualche modo significativo per misurare la pressione all’elettorato russo in un momento complicato, con il Paese impegnato nella guerra in Ucraina, isolato sul fronte occidentale e in una fase di transizione per gli equilibri internazionali.
Vigilia tesa
La vigilia del voto è stata contraddistinta da un clima rigido all’interno, caratterizzato in parte dalla propaganda e dalla repressione, con l’episodio della morte di Alexey Navalny che ha focalizzato l’attenzione, soprattutto tra Europa e Stati Uniti, sull’involuzione autoritaria del sistema putiniano. Il pestaggio di Leonid Volkov, ex braccio destro di Navalny rifugiatosi in Lituania, ha acuito la tensione, mentre l’Unione Europea ha già fatto sapere di non considerare il voto né equo né libero. Le elezioni si terranno anche nei territori occupati nel corso dell’invasione su larga scala dell’Ucraina cominciata oltre due anni fa e la loro legittimità è contestata da Bruxelles a Washington. Ammessi alla corsa presidenziale sono stati solo i rappresentanti della cosiddetta opposizione sistemica, quella cioè che da anni alla Duma, il parlamento russo, è funzionale al regime e ha assunto il ruolo appunto di opposizione di facciata; quella reale, dentro e fuori la Duma, è stata progressivamente marginalizzata.
Al funerale di Navalny per sfidare Putin
SEIDISERA 01.03.2024, 18:14
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I candidati
La candidatura avanzata da Boris Nadezhdin, ex deputato moderato che nei mesi scorsi aveva catalizzato su di sé le speranze di parte dell’elettorato antisistemico, è stata successivamente bocciata dalla Commissione elettorale a causa di vizi formali, confermando da un lato il potenziale, anche se limitato, di un candidato, per così dire, relativamente indipendente, e dall’altro la volontà dell’establishment di non correre alcun rischio, mantenendo ogni fase del processo elettorale, dalla selezione dei candidati alla proclamazione del vincitore, sotto assoluto controllo.
Davankov, già vicepresidente della Duma e finito sotto le sanzioni occidentali, il quasi eterno Kharitonov, che con il Partito comunista è in grado di raccogliere l’appoggio dell’elettorato più nostalgico, e il nazionalista Slutksy, noto per le sue posizioni aggressive sulla guerra in Ucraina, rappresentano dunque alternative fittizie a Putin, che verrà confermato per la quinta volta al Cremlino, dopo le elezioni del 2000, 2004, 2012 e 2018, considerando la programmata staffetta con Dmitri Medvedev tra il 2008 e il 2012. Proprio il passaggio di consegne nel 2012 aveva scatenato una grande ondata di protesta che è però è stata soffocata.
Il contesto
Soprattutto infatti a partire dal 2012 e dal terzo mandato di Putin, che ha coinciso con la prima crisi ucraina, sfociata nel cambio di regime a Kiev, con la successiva annessione della Crimea e l’avvio della prima guerra nel Donbass, il sistema putiniano ha accentuato accanto all’aggressività esterna anche l’autoritarismo interno, che si è acuito dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina dal 2022. In questo momento, considerando i numeri forniti a febbraio dal Levada Center, istituto indipendente che già dal 2016 è classificato in Russia come “agente straniero”, la popolarità di Putin è all’86% e il 75% dei russi ritiene che il Paese sia sulla strada giusta. Il presidente, anche al netto della propaganda e della repressione, pare muoversi in un contesto sostanzialmente favorevole, derivato da una serie di ragioni che vanno dalla positiva cornice economica, all’andamento favorevole nel conflitto ucraino, al fatto che all’isolamento della Russia sul fronte occidentale non corrisponde la stessa cosa per quel riguarda i rapporti con il resto del mondo.
Questa è la fotografia attuale, che potrà cambiare anche nei prossimi mesi o nei prossimi anni, soggetta a imprevisti e a mutamenti della congiuntura. La tendenza, già vistasi con la conclusione della rivolta lo scorso anno di Evgeny Prigozhin, capo della compagnia Wagner prima ribellatosi ai vertici militari e poi morto nell’esplosione del suo aereo, sembra essere quella di un rafforzamento della verticale del potere, arroccatosi intorno alla torre putiniana, in grado ancora di tenere sotto controllo il sistema sociale ed economico, evitando così terremoti politici. Le elezioni, lontane dagli standard occidentali e che la variegata opposizione russa in esilio, da Julia Navalnaya all’oligarca Mikhail Khodorokovsky, solo per citare due dei volti più noti, ha definito una farsa, si trasformeranno dunque in un plebiscito annunciato per Vladimir Putin, il presidente che non ama le sorprese.
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