Il Regno che esce dalle urne è più instabile, indebolito, ricco di incognite, ma paradossalmente anche più unito. La scommessa di Theresa May, per ottenere un “mandato più forte”, si è rivelato un fatale azzardo che - con ogni probabilità - sancirà la sua fine politica.
Impossibile per la premier sopravvivere ad un simile disastro elettorale. In sei settimane è riuscita a dissipare un vantaggio di 20 punti percentuali, ridurre la rappresentanza dei Tory in Parlamento e smarrire la maggioranza assoluta.
Sognava un’investitura plebiscitaria. Chiedeva una legittimazione popolare, per sedere ai tavoli delle trattative con Bruxelles da leader eletto e non subentrato. Ieri gli stessi elettori conservatori l’hanno sfiduciata.
May addio
Non potrà essere lei a rappresentare Londra ai tavoli negoziali con l’Unione Europea. Non è stata in grado di reggere la pressione di una campagna elettorale all’improvviso meno scontata del previsto, mostrandosi incerta, confusa e maldestra. Tutto l’opposto dell’immagine politica - concreta, ferma e competente - che si era costruita nei sei anni da ministro degli Interni.
La sua esperienza di governo si è chiusa con la pubblicazione degli exit-poll. Ora non le resta che gestire questa fase di transizione dalla quale dovrà uscire una soluzione al rebus britannico. Perché tra dieci giorni è previsto l’inizio dei colloqui con l’Unione, e per quella data nessuno oggi può garantire che il Regno avrà un Governo.
Governo di minoranza
Il fiasco dei Tory non è coinciso con il miracolo laburista. Jeremy Corbyn ha ispirato un’inattesa rimonta che però si è fermata troppo lontana dalla soglia della maggioranza assoluta per conferirgli i galloni di premier. Potrà contare sull’appoggio dei nazionalisti scozzesi, ma senza i voti - già negati - dei Liberal-Democratici neppure un suo Governo di minoranza è ipotizzabile. Ed è di fronte a questa confusione sovrana che sterlina e mercati finanziari, come già 12 mesi fa all’indomani del referendum per l’uscita dall’Europa, sono sobbalzati in preda alla volatilità. Ci si interroga se l’uscita di scena di May comporterà una Brexit più o meno hard.
Se un Governo sostenuto da una maggioranza fatalmente fragile finirà per essere ostaggio del voto parlamentare, dunque costantemente influenzabile. Tra mille domande, la notte elettorale ha prodotto un’unica solida certezza: il netto ridimensionamento dei nazionalisti scozzesi significa l’accantonamento del sogno indipendentista almeno per il prossimo decennio. Una piccola consolazione per l’(ex) premier in pectore.
Lorenzo Amuso
Dal TG12.30: