Erica 25 anni, la madre Elena, 45 e la zia Rita, 53 vivono, dall'inizio della pandemia, sotto il ponte di via Giordani, a Milano e non bastano i murales che portano un po’ di colore a risollevarle dalla condizione di miseria in cui sono sprofondate. La loro è un’odissea che dimostra quanto gli effetti della pandemia, sugli ultimi e sui poveri, anche in una ricca città europea come Milano, possano essere devastanti.
“Vivevamo in una delle case popolari dell’Aler (Azienda lombarda edilizia residenziale, ndr) nel quartiere Giambellino. Siamo state sfrattate per un debito di 25mila euro che mia nonna, appena deceduta, ci ha lasciato”, racconta Erica, 25 anni, diploma di terza media, molta voglia di venirne fuori e una vita davanti. “Mia madre non riusciva a saldarlo, ma finché c’era il lavoro andava tutto bene. Poi, l’ha perso ed è iniziata la nostra via crucis”. Le donne, dopo sistemazioni temporanee in dormitori, hanno scelto questo ponte come casa e hanno preso nove cani a loro difesa.
“La notte siamo spesso assaltate da gruppi di nomadi o di tossici che rivendicano il controllo sulla zona e dobbiamo restare di guardia a turno”, prosegue Erica, mentre la madre Elena riposa nella sua tenda dopo il turno di notte. Alla paura di essere assalite si aggiunge quella della malattia: “In fondo, non abbiamo mai avuto paura di niente, ma di questo virus sì. Abbiamo paura di prenderlo e di essere contagiate. Cosa ci succederebbe, se accadesse? Me lo chiedo sempre. Siamo già tre donne sole, dimenticate da tutto e da tutti”.
Laura Silvia Battaglia