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L'oleodotto della discordia

I nativi Sioux, a giugno, hanno effettuato un "tour europeo" per spiegare le loro rivendicazioni e la loro battaglia

  • 4 luglio 2017, 07:49
  • 23 novembre, 05:09
03:06

Dakota Access, l'oleodotto che non s'ha da fare - di Dario Lo Scalzo

RSI Info 04.07.2017, 07:30

  • ©Dario Lo Scalzo

4 luglio. Negli Stati Uniti d'America si celebra oggi l'"Indipendence day". Lo celebrano anche i nativi d'America che, nel giugno scorso, con una delegazione del movimento Standing Rock, ha percorso l'Europa per sensibilizzare cittadini e istituzioni sulle ragioni che li portano a dire "no" all’oleodotto Dakota Access. La delegazione è giunta anche a Ginevra dal 6 all'8 giugno.

Un anno di contestazioni

I nativi americani si sono mobilitati da oltre un anno per protestare contro la costruzione dell’oleodotto Dakota Access che attraversa le riserve sacre del Dakota per giungere dopo 1.800 km allo Stato dell’Illinois. Bloccato dall’ex presidente Barack Obama, proprio a seguito delle proteste dei nativi, con l’elezione di Donald Trump si è invece avuta un’accelerazione importante dell’approvazione e delle autorizzazioni da parte dell’US Army Corps of Engineers. Lo scorso febbraio sono così stati smantellamenti gli accampamenti di protesta delle popolazioni originarie per rendere infine operativo l’oleodotto realizzato dalla Energy Transfer Partners.

La campagna di Standing Rock

Forte del sostegno e della solidarietà di tantissimi gruppi d’attivisti, non solo negli States, ma anche in diverse parti del mondo e conscia della notorietà acquisita grazie alla forma non violenta di protesta portata avanti, la resistenza di Standing Rock ha deciso di lanciare una campagna globale di disinvestimento per convincere banche e amministrazioni che sostengono l’oleodotto a ritirare i finanziamenti. Un’azione che ha dato dei frutti visto che le città di Seattle e Portland hanno rotto i rapporti con la banca US Wells Fargo e visto che vari gruppi bancari tedeschi, francesi, olandesi, svedesi e norvegesi hanno ritirato gli investimenti. La campagna di disinvestimento è arrivata sino in Europa dove da maggio scorso sino a pochi giorni fa una delegazione dei indiani d’America ha incontrando migliaia di attivisti di varie città e soprattutto ha organizzato delle mobilitazioni davanti alle sedi di alcune delle banche europee, come il Credit Suisse, sostenitrici del Dakota Access.

La prima vittoria legale

Alcuni giorni prima della fine del giro europeo, il 14 giugno scorso, da Washington DC è giunta la sentenza di James Boasberg, giudice della Corte Distrettuale, che ha confermato che nella fase di approvazione e autorizzazione dell’oleodotto sono state violate le leggi statunitensi in materia di diritti di caccia e pesca e in materia di Giustizia ambientale. L’oleodotto verrà chiuso? Nelle prossime settimane si avranno ulteriori responsi.

Dario Lo Scalzo

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