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Gli indiani non si arrendono

Washington, reportage dal ventre del corteo di protesta contro l'oleodotto sulle terre dei Sioux e le politiche energetiche di Trump

  • 11 marzo 2017, 15:46
  • Ieri, 06:29
Il corteo era aperto da uno striscione rivendicante il riconoscimento dei diritti di tutti i nativi

Il corteo era aperto da uno striscione rivendicante il riconoscimento dei diritti di tutti i nativi

  • RSI/EmilianoBos

"Water is life, L’acqua è vita", scandiscono in coro i manifestanti alla testa del corteo di Washington passando davanti al lussuoso hotel di Donald Trump, non lontano dal Congresso. Migliaia di indiani nativi provenienti da tutti gli Stati Uniti hanno marciato compatti per dire no all’oleodotto sulle terre dei Sioux in North Dakota e no alle politiche energetiche del presidente.

In abiti tradizionali nelle vie della capitale

In abiti tradizionali nelle vie della capitale

  • RSI/EmilianoBos

"L’acqua è la prima fonte della vita, quell’acqua scorre nelle nostre terre sacre", dice Summer, 13 anni del South Dakota. Tamburi, melodie tipiche, costumi tradizionali. Non è folklore ma è un pezzo dell’identità americana. Negli Stati Uniti le tribù native ufficiali registrate sono 562.

"Ho aspettato tutta vita prima di vedere finalmente tutte le comunità dei nativi unite con una sola voce per dire basta all’inquinamento dell’acqua e della terra", sostiene da parte sua Jodi Gaschen. Viene dalla tribù degli Ogibway del Michigan, indossa un vestito tipico, con copricapo di pelo e penne d’uccello.

Un orgoglio che affonda le radici nel tempo

Un orgoglio che affonda le radici nel tempo

  • RSI/EmilianoBos

"Stiamo con Standing Rock", sentiamo cantare poco più on là nel lungo corteo. "Standing Rock” è il nome di una tribù Sioux che conta poco più di 8'000 persone. Sui loro territori ancestrali e sulle loro fonti d’acqua passerà il contestato oleodotto Dakota Pipeline, per potare petrolio dal Canada all’Illinois. Bloccato da Obama, è stato autorizzato da Trump poche settimane fa.

Reagire, come Toro Seduto

"Abbiamo il diritto ad avere acqua pulita, come tutti. Non contiamo di meno solo per il fatto di essere nativi", ci dice una donna della tribù Sioux. Cita il suo antenato Toro Seduto: "Come, lui anche noi dobbiamo reagire e lottare. Siamo nati lì e lì resteremo".

"You can’t drink oil", non si può bere il petrolio. Il colorato serpentone svolta a sinistra dalla Quindicesima strada fino davanti alla Casa Bianca. "Penso ai miei nipoti, quale pianeta lasceremo? Dobbiamo proteggere le risorse pensando alle generazioni future", ci dice invece una signora arrivata dal vicino Maryland.

La protesta raggiunge il cuore di Washington

La protesta raggiunge il cuore di Washington

  • RSI/EmilianoBos

Sul piccolo palco allestito nel parco pubblico davanti alla Casa Bianca si alternano i leader delle diverse tribù native. Ma tra il pubblico scorgiamo qualcuno che non appartiene a queste comunità. È Martin O’Malley, ex-governatore del Maryland ed ex-candidato democratico alle presidenziali, insieme a Bernie Sanders ed Hillary Clinton.

"Sono fortemente preoccupato per le politiche ambientali di Trump e non solo per l’oleodotto in North Dakota - sottolinea - Ma anche per l’agenzia per la protezione ambientale, alla guida della quale è stato nominato qualcuno che la vuole smantellare".

I nativi, di qualsiasi popolo siano, comunque non si arrendono. Tendegerine Bolen, dell’Oregon, ha coordinato il ricorso collettivo di una dozzina di tribù contro l’amministrazione Trump. "È un chiaro caso di discriminazione razziale e ambientale. Chiediamo di fermare il passaggio di petrolio, anche se l’oleodotto è quasi terminato. Secondo noi l’amministrazione Trump ha violato la legge".

Terre sacre, veramente

Pochi giorni fa la polizia ha smantellato l’ultimo accampamento di chi vuole proteggere dall’oleodotto il sito dei nativi in North Dakota. Tra i manifestanti c’era anche un altro uomo della tribù degli Omaha in Nebraska. "Quando parliamo di terre sacre non è un modo di dire, lo sono veramente".

Emiliano Bos

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