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Storia che va e che torna (3)

La violenza negli occhi, il coraggio nel cuore e la gioia di vivere in un campo profughi. Un bimbo di Mosul racconta la guerra

  • 1 marzo 2018, 07:03
  • 23 novembre, 02:23
03:44

"Non ci lasciavano giocare"

RSI/Francesca Mannocchi 01.03.2018, 06:30

  • ©Francesca Mannocchi

I bambini, in ogni guerra, sono sempre le vittime più traumatizzate. La guerra per riconquistare Mosul dall’occupazione dello Stato Islamico (IS) è durata tre anni ed ha lasciato metà della città distrutta e una generazione di bambini sconvolti dalla quantità di violenza che hanno dovuto subire. Si stima che fossero mezzo milione i minori di sedici anni a Mosul tra il 2014 e il 2017, tra di loro circa 30 mila sono nati sotto l'IS. Ragazzini iracheni o figli di foreign fighters. La maggioranza di loro oggi è orfana. Centinaia, migliaia dei loro padri che hanno combattuto nelle file del Califfato, sono morti nella feroce guerra combattuta per nove mesi dalle forze della coalizione internazionale e dall’esercito iracheno. Oggi Mosul si trova di fronte alla grande sfida di dover curare i traumi dei figli dei civili e deradicalizzare i figli dei miliziani arruolati in battaglia.

Un recente report di Save the Children ha denunciato che i bambini di Mosul hanno smesso di giocare e di provare emozioni, "sono come robot". Tre anni di dominio dell'IS hanno annientato la loro vitalità. Dopo tre anni vissuti sotto l'IS, secondo l'organizzazione internazionale, i bimbi manifestano gravi danni psicologici. Sono così profondamente segnati dai ricordi di estrema violenza e deprivazione da vivere in una condizione di costante paura per la propria vita, incapaci di mostrare emozioni e afflitti da "incubi a occhi aperti", riporta Save the Children. Traumi aggravati dalle scene di violenza: le esecuzioni sommarie, le punizioni pubbliche cui sono stati costretti ad assistere. Il trauma ancora più profondo però, è che i figli delle vittime dell'IS oggi vivono accanto agli orfani dei carnefici.

Francesca Mannocchi

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