Svizzera

Cotti e Delamuraz, i grandi ricucitori

Ritenevano l’approccio bilaterale “insufficiente e provvisorio”, ma lo costruirono per mantenere una relazione con l’UE. Lo rivelano nuovi documenti desecretati. E anche un esponente UDC diede una mano: Adolf Ogi

  • 1 gennaio, 21:06
  • 2 gennaio, 15:13
08:22

SEIDISERA del 01.01.24 - Il servizio di Lucia Mottini e l’analisi di Alan Crameri

RSI Info 01.01.2024, 20:18

  • Keystone
Di: SDS/Info RSI 

Flavio Cotti e Jean-Pascal Delamuraz ritenevano che l’approccio bilaterale alle relazioni con l’Unione europea fosse insufficiente e provvisorio, ma lo chiesero, lo ottennero e lo difesero perché era importante “che la Comunità europea (l’Unione europea stava nascendo in quegli anni, ndr) dia un immagine conciliante di sé al popolo svizzero”.

È quanto emerge dall’analisi di alcuni documenti appena pubblicati dal gruppo di ricerca Dodis. Per il Consiglio federale, allora l’adesione all’UE rimaneva l’obbiettivo a lungo termine.

Dopo il no popolare allo Spazio economico europeo, il 6 dicembre 1992, il governo non ritirò la richiesta di aderire alla comunità, che era stata presentata il 18 maggio dello stesso anno, contestualmente alla firma dell’accordo SEE poi sconfessato dal popolo. La mise però in parcheggio, dando priorità all’avvio di negoziati bilaterali.

Quella domanda di adesione è stata ritirata formalmente solo nel 2016, in ossequio ad una decisione del Parlamento che aveva votato la mozione presentata da Lukas Reimann (UDC/SG). Un passo più che altro simbolico, giacché il mutare delle condizioni quadro aveva di fatto già reso l’adesione della Svizzera all’UE lettera morta: nessuna trattativa è mai nemmeno iniziata, la Confederazione non ha mai nemmeno ricevuto da Bruxelles lo status di paese candidato, a differenza dei molti paesi che aspirano ad entrarvi.

Fu proprio la convinzione (rivelatasi erronea) che quello del 1992 fosse “un incidente di percorso” e che la Svizzera avrebbe finito per integrare l’UE o perlomeno il SEE ad “ammorbidire” Bruxelles e a permettere l’avvio in tempi rapidi di trattative per quelli che sarebbero diventati i bilaterali del primo pacchetto (1999).

L’altra cosa determinante fu una offensiva di charme a cui partecipò anche l’allora presidnete della confederazione Adolf Ogi (UDC/BE). Segno che il Consiglio federale sapeva fare gioco di squadra e poteva contare, coltivando anche le relazioni bilaterali, su appoggi e orecchie benevole in diverse capitali europee.

Inutile dire che oggi a Bruxelles il clima è radicalmente cambiato e nessuno nutre la minima illusione su un ingresso della Svizzera nell’UE o anche solo nel SEE nel prevedibile futuro. Anche per questo i negoziati che si apriranno a breve per il nuovo pacchetto che sostituirà l’abortito progetto di accordo quadro non saranno affatto facili.

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