Approfondimento

Fin quando crescerà la Svizzera da 9 milioni?

La “transizione demografica” in corso ha fatto crollare la natalità in tutta Europa, i decessi superano le nascite e quasi ovunque solo l’immigrazione contrasta la crescita relativa della popolazione anziana - Le spiegazioni di un esperto

  • 10 ottobre, 05:30
  • 22 ottobre, 15:22
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In Svizzera 9 milioni di abitanti. Sul fatto che si arrivi o meno a 10 le opinioni degli esperti divergono

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Di: Stefano Pongan 

La Svizzera ha ormai più di 9 milioni di abitanti, soglia superata a giugno, ma è notizia del 19 settembre a conferma di un trend che con poche battute di arresto ha visto la popolazione crescere quasi ininterrottamente dal primo censimento federale di metà ‘800.

Non tutto è oro quel che luccica, però, nemmeno per la Confederazione. In barba alle buone intenzioni degli svizzeri, il cui ideale è una famiglia con due bambini, nel 2023 il numero di figli per donna è sceso a 1,33. È il dato più basso dall’inizio dei rilevamenti e la metà del 2,7 fatto segnare durante il “baby boom” nel 1964.

Non solo è lontanissimo dalla soglia di 2,1 che garantisce il ricambio generazionale, ma è nella fascia bassa anche nel confronto con gli altri Paesi europei. Nel mondo industrializzato la soglia di 2,1 figli per donna è stata superata (verso il basso) in genere durante la crisi economica degli anni ‘70 e la tendenza da allora si è accentuata, nonostante una breve ripresa fra il 1990 e il 2000 circa.

Le nascite oggi in Svizzera sono ancora più numerose delle morti, ma le curve dei due dati si avvicinano sempre più: dalle 50’000 nascite in eccesso a metà degli anni ‘60, si è scesi a 18’000 nel 2021 (in un anno di culle “affollate”) e a poco più di 8’000 nel 2023.

Possibile, quindi, che fra qualche anno si passi in negativo: l’Ufficio federale di statistica ha elaborato nel 2020 tre scenari per il futuro demografico elvetico, che si estendono fino al 2050. Nel più “alto”, le nascite resteranno superiori ai decessi fino a quel momento, ma nel più basso i morti supereranno i nuovi nati nel 2035. È già stato così, peraltro, in 12 cantoni nel 2023. Fra questi anche il Ticino e i Grigioni.

In Europa quasi ovunque più decessi che nascite

Fuori dai nostri confini, è già il caso nell’UE nel suo complesso (-1,17 milioni di abitanti nel 2023 in quanto a saldo naturale) e nella quasi totalità dei suoi Stati membri. Hanno fatto eccezione lo scorso anno solo Francia, Irlanda e Svezia, oltre ai piccoli Malta, Cipro e Lussemburgo. Fuori dall’Unione Europea presentano ancora saldi positivi anche Norvegia, Islanda e Liechtenstein, oltre alla Turchia, il Paese più giovane del continente con un’età media attorno ai 33 anni.

Tre scenari per la Svizzera

Anche se le nascite superano ancora i decessi, già oggi comunque la Svizzera cresce essenzialmente grazie all’immigrazione. Il saldo fra arrivi e partenze costituisce oltre il 90% delle crescita demografica elvetica. Allargando lo sguardo, in Europa gli arrivi dall’estero bastano per ora a compensare la natalità insufficiente dei Ventisette (nel loro complesso) e a “salvare il bilancio” di Paesi membri come Germania, Spagna, Paesi Bassi, Austria, Portogallo e Finlandia, per non citarne che alcuni. Polonia, Ungheria, Bulgaria, Grecia, Lettonia, Slovacchia e soprattutto Italia hanno invece perso (ancora) abitanti nel 2023, nonostante più immigrati che emigrati. Per loro il futuro demografico appare decisamente cupo.

E questo futuro dove ci porta? Secondo i tre scenari citati dell’Ufficio federale di statistica la Svizzera va incontro almeno a una stabilizzazione: nel più pessimistico si toccheranno i 9,5 milioni di abitanti nel 2050, in quello mediano i 10,44 e in quello ottimistico gli 11,39 milioni. Le opinioni fra gli specialisti però divergono, c’è chi ritiene che i 10 milioni saranno toccati in tempi abbastanza brevi, chi pensa invece che non ci si arriverà mai. Il motivo? La crescente “concorrenza per l’immigrazione” di cui parleremo in seguito.

Nel contempo, la struttura della popolazione è destinata in ogni caso a cambiare radicalmente. Sarà una Svizzera (e un’Europa) più vecchia, con più pensionati e ultracentenari e meno bambini, come ben illustra il grafico qui sotto realizzato proprio dall’UST. Questo avrà (anzi, sta già avendo) conseguenze inevitabili sulla previdenza per la vecchiaia e sui costi sanitari, ma anche sulla quota professionalmente attiva della popolazione, che tenderà a calare se non compensata da forze provenienti da altri Paesi.

L’effetto “della transizione demografica”

Come spiega il professor Alessandro Rosina, che insegna demografia all’Università Cattolica di Milano, “quella in corso è definita la transizione demografica. Da una lato la riduzione della mortalità aumenta la possibilità per un bambino che nasce - nei Paesi avanzati per primi e via via in tutti gli altri - di arrivare all’età avanzata. Non occorre quindi più, come un tempo, avere cinque figli perché due arrivino all’età dei genitori. La conseguente riduzione della fecondità dovrebbe stabilizzare la crescita demografica. Il problema però è che in tutti i Paesi europei, compresa la Francia che ha investito molto in politica familiare, ma nemmeno in Cina o negli Stati Uniti, si raggiunge più la soglia” di 2,1 figli per donna che garantisce questa stabilizzazione.

Il mondo che cambia

È difficile naturalmente fare previsioni a lungo termine. Ma c’è anche chi ne “azzarda”: per le Nazioni Unite, in Svizzera nel 2100 saremo di nuovo poco più di 9 milioni. Come l’ONU, anche uno studio dell’Università di Washington pubblicato su Lancet nel 2020 fissa poco prima di metà secolo il picco della popolazione elvetica (stimato in 9,82 milioni di abitanti nel 2048), ma poi prevede una flessione più rapida fino a toccare nel 2100 gli 8,33 milioni di abitanti.

Quello disegnato dai ricercatori statunitensi per la fine del XXI secolo è un mondo radicalmente diverso da quello che conosciamo oggi: un mondo che (nello scenario di riferimento, fra i diversi elaborati) dopo aver toccato un picco di 9,73 miliardi di abitanti nel 2064 comincerà a decrescere inesorabilmente e perderà un miliardo di persone già entro la fine del secolo. Non in modo uniforme, però, anzi: dal 2017 al 2100 l’Africa subsahariana vedrà triplicata la propria popolazione e sarà nettamente il continente più affollato, mentre l’Europa e soprattutto l’Asia perderanno terreno. Già oggi - per esempio - Corea del Sud (0,72 figli per donna nel 2023, il dato più basso del mondo) e Giappone si trovano in profonda crisi demografica e stanno cercando di invertire la tendenza, fra l’altro con congedi paternità che si scontrano però con le forti culture aziendalistiche.

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In Corea del Sud il tasso di figli per donna è il più basso al mondo, 0.72

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Nel 2100 - dice lo studio uscito su Lancet - l’India sarà così il Paese più popoloso con 1,09 miliardi di abitanti, davanti alla Nigeria e alla Cina, “dimezzata” però rispetto a oggi a 732 milioni di persone. Dei maggiori Stati europei, Regno Unito (che nell’ultimo anno ha fatto segnare una crescita record) e Francia reggeranno il colpo (così come gli Stati Uniti). Altri invece andranno incontro a un vero e proprio tracollo: la Germania perderà quasi un quarto dei suoi abitanti e non sarà più prima nell’UE, superata dai francesi. Italia (30 milioni di abitanti) e Spagna (22) saranno ridotte alla metà di oggi se non meno. La Lettonia, percentualmente l’ultima della classe, vedrà “scomparire” tre quarti dei residenti attuali.

Per molti Paesi comincerà quello che qualcuno definisce “un inverno demografico” e, dice il professor Rosina, “potrebbe essere un inverno che dura a lungo”.

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L'Italia è un Paese che invecchia, con un tasso di natalità fra i più bassi di Europa e una forte emigrazione giovanile

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Una “competizione per l’immigrazione”

Quali fattori faranno la differenza fra un Paese e l’altro? Da un lato, certamente l’immigrazione, ma secondo il professor Rosina “l’immigrazione da sola non è sufficiente a contrastare gli squilibri demografici, quando la natalità è troppo bassa. La fecondità non deve scendere troppo. L’Italia è da 40 anni che è sotto 1,5, da troppo tempo”. Ogni generazione da allora è numericamente più piccola della precedente, e quindi anche l’implementazione di politiche volte a promuovere la fecondità non solo arriva in ritardo ma si rivolge inevitabilmente a una fascia già molto ristretta. Il Paese è caduto in quella che si può definire “una trappola demografica”.

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Il congedo parentale, una delle politiche più diffuse per favorire la procreazione

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Come evitarla? Secondo il professor Rosina, bisogna agire su una “doppia leva: da un lato potenziare politiche famigliari e di genere, mettere in condizione i giovani rimasti di non andarsene, dall’altro agendo sulle politiche migratorie”. La bassa natalità in tutta l’Europa riduce il numero dei giovani e aumenterà la concorrenza per averli. Farà sì che “sempre più l’immigrazione di qualità cercherà i contesti dove maggiormente può essere valorizzata”. E per un Paese, “stabilizzare quantomeno la popolazione giovanile deve essere l’obiettivo”, perché stabilizzare la popolazione nel suo complesso significherà solo vedere crescere la quota, e il peso, degli anziani.

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RG 12.30 del 2.10.2024 Il servizio di Paola Latorre

RSI Info 02.10.2024, 13:39

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