Ticino e Grigioni

Bertoli e i 12 anni in Governo: "Non rimpiango nulla"

Il ministro socialista non parteciperà alle elezioni ticinesi: l’intervista di fine mandato – “Bastoni tra le ruote da PLR e MPS; la lista Mirante? Sono il centro e la destra a doverla temere”

  • 13 febbraio 2023, 12:11
  • 20 novembre, 11:57
31:05

“Dodici anni bastano” 

Modem 13.02.2023, 08:30

  • archivio tipress

Dodici anni, dal 2011 al 2023: sono quelli che Manuele Bertoli ha trascorso nel Governo ticinese, a capo per tre legislature del DECS, il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport.

Le elezioni cantonali sono alle porte, ma lui – questa volta – non sarà della partita, essendo l’unico ministro tra quelli attualmente in carica a non essere ricandidato. Modem, il magazine di approfondimento radiofonico della RSI, ha quindi colto l’occasione per invitare il ministro in studio e tracciare un bilancio della sua carriera nell’Esecutivo, tra successi e occasioni mancate. E non sono mancate le stoccate, soprattutto al PLR:

Lei non è tra i candidati: il suo partito, il Partito Socialista, prevede infatti un massimo di tre legislature. Tuttavia, qualche mese fa aveva detto che si sarebbe tirato indietro se il partito glielo avessi chiesto. Perché non è andata così?

““Le decisioni (del PS, ndr.) sono stare prese in trasparenza e tranquillità: ad oggi, tutto lascia presagire un’ottima elezione. Il mio era un atteggiamento di prudenza, rimango a disposizione del partito non perché voglia fare altri mandati, ma per dire che se il partito lo ritiene necessario io ci sono, sono qui”.

Lei probabilmente aveva molti progetti per la legislatura che sta per concludersi… poi però è arrivato il Covid, è arrivata la guerra: le conseguenze di questi eventi per il Ticino, e per la scuola, si sono fatte sentire; sono state situazioni difficili da gestire per il suo Dipartimento. Avrebbe voluto magari fare altri quattro anni ma più di “ordinaria amministrazione”?

“Non si può predeterminare il futuro. È stata una legislatura anomala per tutti. Ma è stata anche una prova di resistenza e resilienza per la collettività, e anche per la politica e il Governo. Abbiamo cercato di esprimere la necessità di agire con unità, pur avendo posizioni diverse. L’abbiamo fatto con la pandemia e con la guerra. L’apertura delle scuole (durante la pandemia, ndr.) era un obiettivo centrale; la guerra invece ha portato sui banchi centinaia di giovani dall’Ucraina, persone che abbiamo dovuto accogliere in maniera adeguata. Ma alla fine, la collettività e le istituzioni hanno risposto bene, anche se forse a scapito di altri progetti per questioni di priorità”.

La campagna elettorale sta entrando nel vivo: lei ha commentato da spettatore la questione di Marina Carobbio (candidata al Consiglio di Stato sulla lista rossoverde, ndr.) e la richiesta degli altri partiti delle sue dimissioni dal Consiglio degli Stati. Ha criticato questa polemica e ha sottolineato che il dibattito politico meriterebbe di più: è deluso, quindi, dal tenore della campagna e dal dibattito politico in generale?

“Mi pare ci sia una tendenza negli ultimi anni a guardare più alle questioni formali piuttosto che ai contenuti. La questione di Marina Carobbio mi pareva paradigmatica: lei è stata eletta e ha diritto di stare a Berna fintanto che non deciderà di partire. Se gli elettori ticinesi la eleggeranno in Consiglio di Stato così sarà, ma pretendere che si dimetta prima mi sembra chiedere tanto: a nessun altro esponente di altri partiti è mai stata chiesta una cosa del genere. Mi pareva una polemica senza senso. Ma lo stesso vale per altri temi, anche in Gran Consiglio: spesso ci si focalizza sulla forma e non sul contenuto”.

A proposito di polemiche, ce ne sono state anche all’interno del PS quando si è trattato di comporre la lista per il Governo: una lista che in base agli accordi con i Verdi prevede due socialisti, due ecologisti e un esponente della società civile. La polemica è arrivata da quei socialisti che avrebbero voluto Amalia Mirante in quella lista in quota socialista… Mirante ha quindi deciso di andarsene, insieme ai suoi sostenitori, e di presentare una lista propria: lei teme gli effetti di questa decisione?

“No. Perché sono state mostrare bene le ragioni per la quali, internamente, una maggioranza non voleva Amalia Mirante in lista: le sue proposte politiche sono lontane da quelle che avrebbe dovuto rappresentare nella lista rossoverde. Quindi, penso che siano piuttosto il centro o la destra a dover temere un’erosione di voti”.

Se le dico compromesso, cosa le viene in mente?

“Il compromesso è connotato alla politica e al sistema svizzero della politica. Durante la campagna elettorale, sentiremo persone dire “io ho fatto questo, questo è merito mio”. Queste persone fondamentalmente mentono: per fare qualcosa in politica c’è bisogno di una maggioranza, di un consenso allargato: ci vuole sicuramente qualcuno che spinge, che propone, ma se in Governo non si trovano almeno tre persone che sono d’accordo e almeno 46 in Gran consiglio non si va da nessuna parte. Il compromesso è necessario perché per arrivare a una maggioranza, prima bisogna discutere”.

Lei in Governo è in minoranza (l’unico esponente socialista e di area rossoverde, ndr). Uno degli esempi maggiori di compromesso fu la riforma fisco-sociale: lei la appoggiò e questo non era piaciuto a tutti nel suo partito, ma lei aveva detto che in merito agli sgravi, questi erano un boccone amaro ma necessario per far passare l’intero pacchetto che aveva anche aspetti positivi. Inoltre, sostenne che in quel momento i conti dello Stato erano sani e quindi gli sgravi non avrebbero portato a dei tagli. Oggi, il suo stesso partito, sostiene che il deficit dello Stato è soprattutto legato a questi sgravi: lei cosa risponde?

“Nella riforma c’erano tre cose: uno sgravio fiscale iniziale di 30 milioni ma che poi il Gran Consiglio ha portato a 45, perché lì l’entusiasmo sul fisco è sempre molto accesso, e con una prospettiva 2025 sul cambiamento delle aliquote per le persone giuridiche. Ma assieme a questo c’era il recupero di una serie di prestazioni sociali e dei passi avanti nella scuola. Fu un compromesso complicato ma in quel momento lo ritenevo accettabile: ma dissi al mio partito, guardate che nel 2025 bisognerà agire e ci sarà la revisione delle stime immobiliari in arrivo, una vergogna in Ticino dove la proprietà immobiliare è valutata in maniera estremamente bassa basterebbe una piccola correzione, di giustizia, per mettere a posto i conti. È stata comunque un’operazione che rifarei ancora oggi, ma evidentemente le valutazioni possono essere differenti”.

E se le dico bastoni fra le ruote, cosa le viene in mente?

“Ho dovuto camminare con ruote piuttosto consolidate per evitare di cadere: abbiamo fatto passi avanti su vari temi, anche se non quelli che avrei sperato”

Le hanno fatto più male i bastoni tra le ruote messi dagli alleati o dagli avversari?

“Se penso alla scuola ho avuto due tipi di avversari: uno, lo posso dire in termini generali, è identificabile nel Partito liberale radicale; lo dico ora, a fine legislatura, ritenendo che dopo 12 anni il PLR sembra aver faticato molto a digerire il fatto che il DECS è passato a un socialista. Credo che sia un atteggiamento da abbandonare e che non capisco.

L’altro avversario, più interno alla sinistra, è l’estrema sinistra o meglio l’MPS (Movimento per il socialismo, ndr.) che ha come obiettivo primario il discredito del Partito socialista in tutti i modi e siccome io ne sono il rappresentante in Governo faccio parte di questo “giochino” piuttosto puerile. Ma così è anche la politica o almeno una parte di essa”.

Questa discussione c’è stata anche in aula. E questi due partiti hanno fatto sì che cadesse anche la proposta di sperimentazione del superamento dei livelli alle medie. Ora, a poco più di un anno di distanza, proprio oggi il Parlamento ticinese torna a discutere di un’ulteriore proposta in questo senso: è l’ultima possibilità per lei, pensa di potercela fare?

“Faccio le corna. Attendo serenamente la discussione: ho sempre detto che le idee necessarie e opportune prima o poi si impongono, ma resta da capire in quanto tempo e con quanto spreco di risorse. Staremo a vedere se questa sarà la volta buona. Il processo (di superamento dei livelli, ndr.) richiederà comunque tempo ma la politica deve dare un segnale”.

Ritiene che la questione dovesse essere discussa insieme all’idea di anticipare l’insegnamento del tedesco?

“No. Sono due cose molto diverse, è bene che siano separate, per non fare confusione”.

Se le dico ascoltare: cosa le viene in mente?

“L’ascolto è una necessità in politica, ma a volte è espressa in maniera sbagliata. Un conto è ascoltare: io sono una persona che ascolta; altra cosa è convenire: non è perché io ascolto che poi devo essere d’accordo. In questi anni ho ascoltato molte cose, provenienti da molte parti, dalla società ticinese e anche dalla scuola: su alcune cose ero d’accordo, su altre pur avendole ascoltate, no. La mia funzione è quella di indirizzare le riforme: devo farlo anche sulla base dell’ascolto non convincente.

Ma mi è capitato anche di ascoltare e poi di cambiare idea. Se penso per esempio a “La scuola che verrà”, al di là dell’esito in votazione popolare, il primo progetto si è modificato nel tempo in maniera piuttosto convincente, tant’è che il Gran Consiglio passò in maniera allargata.

Ma a volte, invece di dire di essere rimasti in minoranza si dice di non essere stati ascoltati: è un giochino che non porta a nulla…”

Qual è la sua posizione in merito al deficit nei conti dello Stato?

“È un tema, e sbaglia chi pensa che si possa sempre fare debito. Però sbaglia, e alla grande, anche chi immagina che si possa applicare allo Stato lo slogan “di più per meno”. Questo nello Stato non funziona: ho cominciato a guardare nei conti del mio Dipartimento, così come stanno facendo i colleghi, in vista del risanamento che partirà puntualmente dopo le elezioni del 2 aprile, non prima, e lì non ci sono cose belle da vedere: non immaginiamoci che un risanamento si faccia tranquillamente, rinunciando alle cose superflue. Non è e non sarà così. Se non si vuole pagare, imposte, tasse eccetera, bisognerà rinunciare a una serie di cose. Quelli che poi “ci lasciano le dita” in queste cose, sono le persone con redditi modesti o anche medi: anche chi, per esempio, in famiglia vive con 10'000 franchi al mese, perché alla fine in un modo o dell’altro dello Stato si ha bisogno. Chi vive con molto di più al mese, non avrà problemi, ma gli altri sì. Tuttavia, assisterò con curiosità all’esercizio (del risanamento, ndr.)”.

Lei tra poco lascerà il Governo… è riuscito a fare ciò che avrebbe voluto?

“L’attività nel DECS è metà del mio lavoro, l’altra è in qualità di membro del Governo e quindi con un occhio a tutti i dossier. Ho potuto spaziare: una serie di cose si sono fermate prima di quanto avrei voluto, ma passi avanti nella scuola, nella formazione in generale, nell’accompagnamento delle giovani generazioni e nella cultura sono stati fatti: sono tutto sommato soddisfatto di questi 12 anni”.

Lei è stato spesso accusato di essere un po’ rigido e poco incline all’ascolto. Eppure, chi la conosce sa che lei è anche autoironico: forse non è riuscito a far passare questo lato in politica?

“È possibile. Ma ci sono altri che invece hanno voluto mostrare un lato più brutto di me: la politica è sempre meno contenuto e sempre più narrazione, e ogni tanto la narrazione cade nel discredito e nella necessità di far passare gli altri per brutti e cattivi. Ma di solito lo fa chi non ha argomenti politici, è una tendenza generale della politica.”

Intervista di Amanda Pfändler / Modem
Adattamento web: ludoC

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