La scuola ticinese ha problemi d’impiego e problemi legati alla formazione dei docenti: sono emersi negli scorsi giorni quando vi abbiamo raccontato di 13 persone che stanno concludendo l’abilitazione in italiano per le scuole medie superiori, ma che già sanno che non troveranno un posto.
Ieri sera a Bellinzona si è tenuta l’assemblea fra chi ha terminato e chi sta seguendo il percorso di abilitazione all’insegnamento. La RSI era sul posto con il giornalista Alain Melchionda di SEIDISERA. Ecco la sua impressione: “Prima di tutto i sentimenti della sessantina di presenti. Tanta solidarietà fra loro. Tanta voglia di dare. Di poter insegnare. Quello che però mi ha impressionato di più è stata la paura. Paura espressa più volte, ad alta voce, da tanti. E legata a vessazioni, ripercussioni, emarginazione dal mondo dell’educazione. Sotto accusa, per questo clima di terrore, stando alle dichiarazioni degli interessati, sia il Dipartimento educazione, sia soprattutto la scuola, il DFA”.
Sono molte le giovani ed i giovani con cui abbiamo parlato, ma che non hanno voluto registrare un’intervista. Due testimonianze però siamo in grado di proporle. Lo sentirete nel servizio qui allegato: le voci sono state distorte e doppiate per garantir loro l’anonimato:
SEIDISERA 18.00 del 27.03.2025 - Il servizio di Alain Melchionda
RSI Info 27.03.2025, 19:47
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“Io - racconta la prima persona ai microfoni di SEIDISERA - mi sono abilitata a giugno 2024 per le scuole medie in italiano. Oggi sono senza un lavoro. Sto facendo delle supplenze saltuarie. Poi, visto che le supplenze non possono più venire trasformate in incarichi, è un problema. Sono una docente precaria. Molto precaria. E a detta anche degli esperti in materia le prospettive non sono assolutamente buone. Sono aperti i concorsi quest’anno, ma i posti e le ore sono pochissimi. Quindi anche in futuro le prospettive non sono buone. Anzi, chi ha ricevuto un incarico quest’anno... ha ricevuto anche la comunicazione che deve scordarsi la nomina per i prossimi anni”.
“Sono entrata al DFA con grandi aspettative - racconta la seconda testimonianza - e quindi ero anche molto motivata e convinta che potesse darmi qualcosa. Ma in un mese le mie aspettative sono state distrutte. Ho trovato un ambiente poco stimolante a livello cognitivo dei docenti del DFA. La gran parte non sapeva dare i contributi necessari, sia a livello didattico che educativo. In più, e questa è stata la cosa più difficile da sopportare, il senso quasi costante di umiliazione che dovevamo subire da questi docenti. Ci svalutavano costantemente. Ci facevano sentire veramente stupidi. Tutti abbiamo tratto la medesima conclusione: che stavamo facendo un percorso quasi purgatoriale per arrivare al pezzo di carta che ci avrebbe permesso di fare il lavoro che tutti sogniamo di fare. Io però, dopo tre mesi, ho scelto di lasciare il DFA. Questo perché la pressione era troppo forte. Il senso di umiliazione grandissimo. E stavo male fisicamente. Ho avuto un burnout”.
Nel frattempo abbiamo saputo che i problemi di impiego riguardano anche altre materie (oltre all’italiano toccano storia, inglese e chimica) e anche altri ordini di studio. Emerge il fatto che ormai il vaso di pandora si è scoperchiato: e questo dovrà portare a serie riflessioni e cambiamenti.
“Penso che sia venuto il momento di aprire una seria discussione sulle modalità di formazione degli insegnanti, sul rapporto tra formazione e posti di lavoro, sullo stesso DFA e sul suo modo di procedere”, afferma il professore universitario e poeta Fabio Pusterla. “Il DFA è un istituto che non si è mai messo molto in discussione e che non mi pare abbia prodotto grande felicità negli studenti che sono passati da li”, prosegue Pusterla. “Secondo me l’idea della ‘formazione en emploi’ è la migliore, non c’è dubbio, da moltissimi punti di vista: chi deve farla avrebbe una quasi certezza lavorativa, non sarebbe esclusivamente a sue spese ed inoltre non si farebbe ipotecando anni di studio senza sapere il risultato finale”, conclude Pusterla ai nostri microfoni.