Verdingkinder, così sono stati chiamati i bimbi che, in Svizzera, tra il 1940 e il 1981, furono collocati, a forza, in istituti o in fattorie. Motivo? Non si trovavano al posto giusto nel momento giusto e pertanto venivano dirottati altrove. Li si faceva "crescere nell'ombra". Verdingkinder è un termine tedesco, ma il fenomeno non ha risparmiato il sud delle Alpi. Il censimento del 1960 parla di 750 "bimbi e bimbe collocati" in Ticino. L'inchiesta di Mariano Snider realizzata per Falò (e che sarà trasmessa giovedì 12 novembre) dimostra che potrebbero essere anche più numerosi. Undici gli "ex-collocati" che hanno accettato di parlare davanti a una telecamera. "Molti di più - ci dice Snider - quelli che ci hanno segnalato la loro storia".
da "Cresciuti nell'ombra" di Mariano Snider
RSI Info 11.11.2015, 18:53
È dal 2013 che la questione si è ritagliata un po' di visibilità nei media. Tre università (Zurigo, Friborgo e Ginevra) e due Scuole universitarie professionali (Zurigo e Olten) hanno dato vita a un progetto -
Placing Children in Care - per far luce su questa storia oscura. Il Governo federale ha chiesto scusa pubblicamente, ha risarcito 600 richiedenti e, il 21 marzo 2014, ha emanato la
- Legge federale concernente la riabilitazione delle persone internate sulla base di una decisione amministrativa
https://cook.cue.rsi.ch/rsi/info/ticino-grigioni-e-insubria/nhpl4s-Legge-federale-concernente-la-riabilitazione-delle-persone-internate-sulla-base-di-una-decisione-amministrativa/download/2589.pdf
. Silente, invece, il Governo ticinese. Gli ex-bimbi, però, esistono. Mariano Snider li ha incontrati.
Cos'è che l'ha indotto ad andare a scovare chi, cresciuto nell’ombra, avrebbe magari continuato volentieri a restarci?
“Il Consiglio federale ha chiesto scusa nell’aprile 2013. Si sono scusati anche rappresentanti di diversi Comuni svizzeri, Cantoni, Chiese, Istituti e Unione contadini. In Ticino abbiamo avuto la notizia di tutto ciò come se il fenomeno non ci interessasse, al limite sfiorandoci solo marginalmente e per pochi casi. Io ho voluto approfondire”.
Quale il momento più difficile nella realizzazione di questo documentario?
“Sono partito da pochi casi conosciuti, per rendermi man mano conto, grazie al passa parola, che il fenomeno era molto più diffuso di quello che potevo immaginare. Ho conosciuto una ventina di persone di diverse generazioni che ho intervistato su un tema sentito da loro stessi fino a questo momento come tabù. Non è stato facile essere lì. Raccogliere ed accogliere il racconto di tutto il loro trascorso. Lo hanno fatto con un’urgenza non tanto per se stessi, ma soprattutto per solidarietà verso coloro - e sono tanti - che hanno vissuto accanto a loro nelle stesse condizioni e che però non ce l'hanno fatta a sopravvivere a quelle ingiustizie e violenze tremende”.
Quale impatto hanno avuto, questi incontri, nella sua vita?
“Ho percepito il peso di ogni parola di queste persone e non è stato facile neppure per me, in sede di montaggio, dover decidere cosa tagliare. Ho conosciuto persone straordinarie, piene di cicatrici, ma anche forti, che hanno incredibilmente saputo sopravvivere a tutto ciò e rifarsi una vita, anche con posizioni professionali non indifferenti. Lo scopo del documentario, oltre quello di stimolare la ricerca storica, è anche quello di renderci attenti rispetto all’oggi, per non rischiare di ripetere gli stessi errori”.
m.c.
Cresciuti nell'ombra
Falò 12.11.2015, 22:10