L’integrazione attraverso una professione. Il Consiglio federale vuole raggiungere l’obiettivo del 40% di profughi ucraini attivi nel mondo del lavoro. Oggi in Ticino il 21% ha un impiego: raddoppiare questa quota rappresenta quindi una sfida importante.
Olena è scappata da Kiev nell’estate di un anno fa con le sue 2 figlie, Maria e Daria, di 8 e 4 anni. E non sa più dire quanti curriculum vitae ha spedito. “Sono stata interprete per gli osservatori OSCE, ho lavorato come interprete nella Camera di Commercio...” racconta Olena Sumnikova. Laureata in lingue, parla ucraino, russo, inglese e italiano. Si è offerta di fare le pulizie o lavorare in una catena di fast food. Ma la risposta è sempre e solo una: “Siamo al completo”. “Capisco anche loro... se domani finisce la guerra noi ritorniamo in Ucraina, ma non perdo la speranza. Sto inviando il mio curriculum, sperando di trovare un lavoro”, dice Olena.
Lo statuto S è stato prolungato fino a marzo 2025. In Ticino ci sono 3’071 profughi ucraini; 343 hanno un impiego sui 1’637 che, come Olena, sono in età lavorativa. E’ una percentuale pari al 21% e Berna vuole che si arrivi al 40% entro fine 2024. “In effetti è un obbiettivo piuttosto ambizioso. Bisogna considerare che, in particolare, i profughi che hanno lo statuto di protezione S sono prevalentemente donne con bambini e quindi con una certa difficoltà di organizzazione, anche per quanto riguarda il lavoro”, spiega Cristina Oberholzer Casartelli, responsabile della Sezione del sostegno sociale Ticino.
Da quest’autunno il Cantone ha 4 collaboratori che aiutano nella ricerca di un lavoro. Ma niente procedure semplificate nel riconoscimento dei diplomi o della licenza di condurre. “Questo non è previsto. Per quanto riguarda il riconoscimento dei diplomi è di competenza federale. Quindi ci dobbiamo muovere nell’ambito delle procedure ordinarie che abbiamo.: per quanto riguarda il riconoscimento dei diplomi sono procedure lunghe mentre, per quel che riguarda l’autorizzazione del lavoro, non sono procedure lunghe”, sottolinea Cristina Oberholzer Casartelli.
Lo sguardo e il cuore di Olena restano sempre e comunque rivolti a casa. Stanotte, con l’attacco russo, non hanno dormito. Là, in guerra, c’é il marito. E a Maria e Daria manca il loro papà. “Sono molto grata alla Svizzera. Le bambine non devono scendere nel rifugio, non sentono il rumore delle bombe, dei missili... Non penso sia un’esperienza che va vissuta”, dice Olena Sumnikova.