“Se la Chiesa si muovesse per conto proprio con qualsiasi tipo di intervento, il presunto autore capirebbe la situazione e potrebbe distruggere le prove e tutto ciò che riconduce a lui”. Per questo motivo, le autorità ecclesiastiche “non intraprendono nessun tipo d’iniziativa, fin tanto che la Procura non termina il suo lavoro di acquisizione di prove”. Lo ha detto ai microfoni della RSI la portavoce della Curia di Coira Nicole Büchel.
Non era quindi inerzia quella imputata spesso in questi giorni alla Curia vescovile di Lugano in relazione al fermo del prete sotto processo per abusi sessuali. Sabato, in una nota inviata alle redazioni, la Curia dichiarava di aver segnalato il caso alla Procura in aprile. “Per non interferire nell’accertamento della verità e rischiare l’inquinamento delle prove, nel periodo intercorso fra la segnalazione e il fermo, non è stato attuato alcun tipo di misura nei confronti del prete”, si legge nel comunicato.
Un precedente, nel passato, ha imposto la prassi. “Anni fa, un parroco nel Liechtenstein, sapendo che era stato attenzionato, ha avuto due o tre mesi per cancellare ogni tipo di prova”, racconta Büchel. “Per questo motivo, d’allora, le curie e in generale la Chiesa aspettano che le procure svolgano e termino il loro lavoro. Solo con il loro via libera avviamo poi la nostra richiesta interna”.
Un altro punto discusso in questi giorni, in merito alle tempistiche della Curia della Diocesi di Lugano, sono i due mesi intercorsi dalla segnalazione della persona alla poi effettiva denuncia al Ministero pubblico.
“L’iter dell’inoltro alla Procura normalmente avviene in tempi molto rapidi. Tuttavia è giusto capire, almeno preliminarmente, a cosa ci si trova davanti, se c’è sostanza o non c’è nulla”, spiega ancora la portavoce. “Generalmente non basta una telefonata o un’e-mail per automaticamente arrivare a una segnalazione alla Procura”.