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Reporter di guerra necessari contro la propaganda

Social e fonti non verificabili contribuiscono alla disinformazione anche nella guerra in Ucraina - La parola agli esperti

  • 5 aprile 2022, 23:56
  • 20 novembre, 18:20
11:33

L'informazione in tempo di guerra

Il Quotidiano 05.04.2022, 21:00

Di: Quotidiano/M. Ang. 

“Sicuramente la quantità di informazione è problematica. Si parla di overload informativo, un sovraccarico di informazioni che crea diversi problemi. In questa guerra (in Ucraina n.d.r.), in particolare, direi che c'è una sovrabbondanza di fonti, una sovrabbondanza di persone che stanno parlando, pensiamo però che questo è anche, in qualche modo un prodotto della tecnologia”. Così Gabriele Balbi, professore di Scienze della Comunicazione all'USI, martedì sera, ospite del Quotidiano, commentando cosa sta succedendo nel mondo dell'informazione in questi giorni.

E tra i problemi c'è anche quello del cittadino comune, messo sullo stesso piano dei professionisti dell'informazione. “Questo è un altro problema e deriva da un'altra opportunità, cioè quella che tutti hanno la possibilità, ad esempio, di riprendere immagini della guerra (pensiamo a tutti i soldati che hanno un telefonino) da un lato, ma dall'altro tutti possono anche commentare queste immagini. Questo, in qualche modo, è informazione contemporanea", sottolinea Balbi.

Proprio per questo diventa importante la presenza sul terreno. “È indispensabile essere sul posto per vedere che cosa accade, per respirare anche l'atmosfera, per sentire ciò che sente la popolazione del luogo, per vivere come vive la popolazione del luogo. Quella dell'inviato di guerra sul terreno è una presenza indispensabile", sostiene il giornalista Gianluca Grossi.

La politica e l'attacco ai media tradizionali

Eppure anche davanti agli orrori, come quelli registrati a Bucha, c'è chi dice: "Non è vero"... “È una nuova forma di comunicazione, si parla di era della post-verità per tanti punti di vista - spiega il professor Balbi -. Se una volta vedevo e credevo, qui neanche più vedere testimonia un certo tipo di verità. Evidentemente questo ha delle radici antiche e passate, anzitutto il fatto che la politica, nel corso del tempo, ha attaccato i media tradizionali e polarizzato il discorso, fino ad arrivare a non credere più ai media più importanti, quelli mainstream”.

Il ruolo del reporter di guerra

“Sono convinto che il reporter in generale, e il reporter di guerra in particolare, debba fornire una testimonianza. Che cos'è la testimonianza? È la rivendicazione della propria soggettività. Non esiste oggettività. È un concetto banale, tirato in ballo per comodità e credo sempre anche per pigrizia per chi lo utilizza - dice Grossi -. È indispensabile rivendicare la propria soggettività di testimone, perché questa è la garanzia anche della correttezza della comunicazione, di cui un reporter o una reporter si fanno portatori. Questo è ciò che ho visto con i miei occhi, questo è ciò che ho capito con la mia testa. È un'approssimazione di verità la testimonianza di un reporter sul terreno, molto spesso coincide con la verità, a volte non arriva a dirla tutta”.

Non tutte le fonti di informazione si equivalgono

Altro punto, come può oggi il cittadino districarsi tra tante fonti di informazione? "Ci sono fonti d’informazione che sono più credibili e devono essere più credibili, pensiamo alla BBC, è stata la prima a lanciare queste immagini, pensiamo al New York Times, che ha fatto una serie di reportage. Quindi non tutte le fonti di informazione si equivalgono”, sottolinea il professor Balbi.

Le immagini e la loro interpretazione

Anche nella guerra in Ucraina le immagini sono state strumentalizzate. “Nel momento in cui scatti una fotografia o realizzi un'immagine video, questa fotografia o questa sequenza televisiva, non ti appartengono più, sono già nelle mani di altre persone e tu puoi cercare, certo, di rivendicare, di difendere ciò che mostrano queste immagini, ma sarà uno sforzo quasi disperato - dice Grossi -. Un'immagine non è in grado di opporsi alle interpretazioni che altri faranno di questa immagine, nemmeno alle strumentalizzazioni, purtroppo. E nemmeno alla trasformazione in simbolo, che presuppone sempre un intervento esterno, quando non addirittura una intenzione esterna. Dobbiamo convivere con questo dato di fatto”.

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