È successo così in fretta che c’è stato pochissimo tempo per pensare, vere bombe d’acqua hanno colpito prima, il 21 giugno, Sorte, la frazione di Lostallo, in Mesolcina, e otto giorni dopo, è toccato all’Alta Vallemaggia, a Prato Sornico e in Val Bavona. In una montagna di distruzione hanno perso la vita undici persone (9 morti e ancora 2 sono dispersi). A due mesi di distanza, la RSI è tornata sulle catastrofi di fine giugno con una serata speciale dal titolo “L’estate delle alluvioni”, in diretta da Cevio (con collegamenti dagli epicentri del disastro) per rievocare quanto accaduto, ma soprattutto riflettere su allerte, carte di pericolo, misure di protezione, con uno sguardo al futuro e sotto la cattiva stella del cambiamento climatico.
Quanto accaduto ha mostrato anche i limiti della tecnologia, come ha ricordato in avvio Claudio Zali, direttore del Dipartimento del territorio. “È stato un evento enorme, inusitato, spropositato, superiore alle nostre capacità. Il tutto amplificato dall’iniziale mancanza di comunicazione. La rete telefonica che diamo come strumento scontato è venuta a mancare e questo ha amplificato le emozioni forti e in buona parte negative”.
Limiti anche, si è detto ad un certo punto e da più parti, delle allerte meteo. Davvero indicavano ciò che poi è realmente accaduto? “La dimensione e l’intensità delle precipitazioni, e soprattutto il disastro che ne è seguito, noi come meteorologi non l’avevamo assolutamente percepito”, risponde Marco Gaia, responsabile dei servizi di previsione di MeteoSvizzera. “Avevamo tutta una serie di segnali che indicavano la possibilità di avere delle precipitazioni decisamente importanti. Proprio per questo motivo siamo usciti con uno, rispettivamente quasi due giorni d’anticipi, con delle preallerte per i temporali. E nell’imminenza con delle allerte”.
Le nostre capacità predittive, ricorda Gaia, “hanno dei limiti. Individuiamo gli ingredienti per lo sviluppo di temporali, ma abbiamo allertato tutto il versante sud alpino. Perché non eravamo in grado di avere la precisione che sarebbe auspicata. Nonostante lo sviluppo tecnologico che c’è stato, non siamo in grado di indicare con precisione chirurgica se il maltempo interesserà questa, piuttosto che quest’altra valle”.
Il sistema di allerta in Svizzera, ha ricordato Gaia, è nato a seguito delle tragiche alluvioni del 1978. “Ed è andato di anno in anno sviluppandosi e migliorandosi”. Questa esperienza può spingervi a cambiare qualcosa dal punto di vista della comunicazione? A riflettere sul sistema dei livelli? Come trasformare le allerte non in elemento di “fastidio”, ma di aiuto alla popolazione? “Per quanto tragici, sono questi eventi che ci fanno progredire. Dopo ognuno di questi eventi noi facciamo partire, non solo noi, ma con i Cantoni e l’Ufficio federale dell’ambiente, tutta una serie di analisi. Affinché la prossima volta possiamo fare meglio. Nel 1978, se leggete i bollettini di allora, si parlava solamente di possibili temporali, in modo estremamente vago. Da allora ne abbiamo fatta di strada. A volte si può avere l’impressione che sono un poco noiose o eccessive, però ogni volta che c’è un’allerta dietro c’è una ragione ben precisa da parte nostra”. È importante, continua Gaia, soprattutto conoscere i limiti delle allerte, “ed importantissimo sapere cosa fare per autoproteggersi”.
Il geologo cantonale del Canton Ticino, Andrea Pedrazzini, per giorni ha sorvolato la zona colpita. È qualcosa che sorprende anche voi e che vi fa interrogare sui mezzi a disposizione per tutelare il territorio? “Dopo un primo sorvolo la situazione appariva chiaramente impressionante. È chiaro che abbiamo ricevuto le allerte, come da prassi ci siamo riuniti a livello cantonale per decidere come e chi avvertire. Con un tale evento, con dei temporali rigeneranti, quello che è successo è stato catastrofico”.ci
Un flusso di comunicazione che può essere migliorato? “Ricordo l’autunno tragico di 10 anni fa, quando abbiamo iniziato ad organizzare i presidi locali - risponde Roland David, capo della Sezione forestale TI - che con la nostra consulenza e quella di MeteoSvizzera, permettono di affrontare queste situazioni di emergenza. Dieci anni dopo ci accorgiamo che abbiamo comunque ancora un grande lavoro da fare”.
Di fronte ai tecnici ci sono poi le autorità che, come ha ricordato il sindaco di Lostallo Nicola Guidicetti, hanno il compito di reagire: “Rincorriamo gli eventi - dice Giudicetti -. Eventi così forti possono sempre succedere, viviamo in una regione di montagna e la prevenzione è la prima arma che abbiamo e io ho fiducia. Credo che ci sia anche un secondo problema, qualcuno la responsabilità deve assumerla. Purtroppo, o per fortuna, ci sono i sindaci e mi fa un po’ male vedere una collega sindaca, Anna Giacometti, che per l’evento di Bondo viene accusata di leggerezza. Perché poi queste decisioni non sono mai tutto bianco o tutto nero. Sono decisioni molto difficili”.
Su Bondo la giustizia farà il suo corso, è stato ricordato, ma Bondo, come Brienz, sempre nei Grigioni forse può essere d’aiuto al Cantone per avere un approccio all’emergenza più consolidato? “È proprio così che negli ultimi anni - spiega Carmelia Maissen, direttrice del Dipartimento infrastrutture - abbiamo potuto fare delle esperienze. Va detto che ogni evento, in cui si devono gestire dei pericoli naturali, è una situazione unica dove si devono trovare delle soluzioni o prendere delle decisioni individualmente. Però possiamo migliorare il processo e la collaborazione tra i vari attori sul territorio. È uno sviluppo permanente”.
Ma quali insegnamenti trarre? In sei ore in Vallemaggia, il 29-30 giugno, sono caduti 200-250 mm di pioggia e la portata della Maggia è passata in 3 ore da 50 a 700 metri cubi al secondo. Bisognerà fare, in futuro, i conti con queste cifre? “La nostra - risponde Marco Gaia - è una società a norma, intendo dire che tutta una serie di infrastrutture, dalle canalizzazioni ai muri di protezione, alle vasche di contenimento, sono state dimensionate sui tipici valori meteorologici degli anni ‘60-’90. Sappiamo che il clima sta cambiando, anche da noi, in Ticino. I fenomeni meteo saranno sempre dei temporali e delle nevicate, ma la loro intensità e frequenza sta variando. Da quando nel 1981 abbiamo messo in funzione le prime stazioni ad alta risoluzione dei temporali abbiamo visto che l’intensità è aumentata di circa il 18% per le precipitazione sui dieci minuti”. Se siamo una società a norma, ha concluso il meteorologo, “le misure di protezione che abbiamo dimensionato nel periodo ‘60-’90 potrebbe darsi che in futuro debbano essere adattate al nuovo clima”.
Vanno adattati i piani riguardo alle zone di pericolo, forse è il momento di accelerare? “L’aspetto gestionale è sicuramente fondamentale - dice Claudio Zali - . Abbiamo fatto dei progressi e questo evento ne è la prova. Dobbiamo essere consapevoli che la protezione tramite infrastruttura è un processo lungo. Essere consapevoli del pericolo e investire risorse e saranno purtroppo tante”. Si parla anche, sempre più spesso, di nuove zone rosse. “Di sicuro posso rassicurare che viviamo in un cantone dove vi è un’altissima sensibilità e controllo - ha sottolineato ancora Roland David -. Da due mesi stiamo lavorando intensamente solo sulla Vallemaggia. Mai ci è stato detto dal nostro direttore che le valli vanno abbandonate, anzi ci spronano a fare sempre meglio. Però bisogna anche essere consapevoli di un aspetto: il problema non è tanto la zona rossa, ma l’estremizzazione degli eventi ci porta a dire che non tutte le zone rosse potranno essere tecnicamente premunite. Perché tecnicamente non è possibile e lì si giocherà il futuro. Noi dobbiamo garantire la sicurezza dei cittadini, e con tutti i sindaci dovremo portare avanti un lavoro serio a tutela di tutti i cittadini. Questo dobbiamo fare”.
Sorte, l’epicentro della tragedia in Mesolcina, era una zona abitata. Come mai non era una zona di pericolo? “Sorte non era zona rossa, ma zona a rischio residuo - risponde Luca Plozza dell’Ufficio foreste e pericoli naturali GR -. Il Cantone è responsabile delle carte di pericolo e commissiona studi privati per allestirle. Il geologo incaricato una decina di anni fa ha notato la possibilità di questi grandi eventi, ma li ha valutati talmente rari. Da qui la zona a rischio residuo”. Serve quindi un aggiornamento? “Gli strumenti a disposizione - conclude Plozza - sono adeguati, ma servono degli aggiornamenti delle carte di pericolo in base ai cambiamenti climatici”.
Meteo, geologia e politica, è uno degli insegnamenti della serata, in futuro dovranno lavorare ancora più a stretto contatto. E poi incrociare le dita.
Sorte, l'intervista alla figlia delle vittime
Telegiornale 02.09.2024, 20:00
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Il Quotidiano 02.09.2024, 19:00