“Gli Stati Uniti pensano solo a vincere, non a trattare. La loro politica è sconfiggere Putin ed hanno accantonato ogni ipotesi diplomatica seria. Penso sia molto preoccupante, anzi, allarmante”. Parole di Jeffrey Sachs, noto saggista ed economista, una delle poche voci fuori dal coro in America sulla guerra in Ucraina.
Esperto dei paesi dell’ex Unione Sovietica, il docente della Columbia University non ama la retorica bellicistica che storicamente contraddistingue la politica di Washington e non lesina critiche alla gestione del conflitto dell’Amministrazione Biden. “La politica estera americana è stupida. Se posso usare un termine tecnico… – spiega con triste sarcasmo – Francamente non trovo molto convincenti le dichiarazioni secondo cui sconfiggeremo Putin sul campo. Ma questa è l’America. E non abbiamo diplomatici in questo momento. Abbiamo solo tifosi della guerra”.
Domanda: "Eppure l’azione americana gode di un forte sostegno sia di Democratici e Repubblicani al Congresso, sia dell’opinione pubblica…"
Jeffrey Sachs: “Questo non vuole dire necessariamente che sia saggia. Gli Stati Uniti sono stati impegnati in molte guerre che all'inizio erano molto popolari e godevano di un grande sostegno. Fu così in Vietnam, o in Iraq nel 2003, e in molte altre occasioni… come in Afghanistan”.
D.: Come giudica la gestione del Presidente Biden della crisi ucraina?
J.S.: “Penso che il governo degli Stati Uniti in generale sia provocatorio perché fa leva sulla pretesa dell'eccezionalismo americano. E Biden non fa eccezione; ritiene che gli Stati Uniti siano il leader del mondo e debbano sfidare chiunque osi mettere in discussione questa leadership. E quando ha avuto modo di negoziare con Putin ha sempre accantonato questa possibilità”.
D.: Però Putin è l’aggressore. Neppure lui ha mostrato interesse a una soluzione diplomatica dopo aver iniziato a invadere l’Ucraina il 20 febbraio…
J.S.: “In questi anni non sono mancate le occasioni per un negoziato. Penso vi fosse una via diplomatica nel 2021 e c’era sicuramente una soluzione diplomatica a fine marzo. Ma poi dopo il massacro di Bucha, è stata l’Ucraina ad abbandonare il tavolo delle trattative…”
D.: Beh, per fare la pace bisogna essere in due…
J.S.: “Siamo onesti… il nodo per un esito pacifico è la neutralità dell'Ucraina. Era l’ipotesi sul tavolo delle trattative a fine marzo ed è stata tolta. E mi chiedo: perché? Perché stiamo continuando a fare la guerra invece di spingere entrambe le parti a negoziare? Personalmente credo sia perché gli Stati Uniti rifiutano l'idea che la NATO non si allarghi fino all'Ucraina”.
D.: L’atteggiamento americano è mutato dopo la visita del Segretario di Stato Blinken e del Segretario alla Difesa Austin a Kyiv. Da allora si è puntato con maggior vigore ad armare gli ucraini…
J.S.: “Penso che gli strateghi militari americani siano convinti che le armi americane siano sufficienti per sconfiggere Putin sul campo. Questa è la loro opinione. Ma sono sessant’anni che sento opinioni del genere…”.
Classe 1954, Jeffrey Sachs oltre a essere il Presidente del gruppo di lavoro sullo sviluppo sostenibile dell'ONU è pure membro dell’Accademia Pontificia delle scienze sociali.
D.: Papa Francesco ha ipotizzato che forse «l'abbaiare della NATO alla porta della Russia» ha indotto il capo del Cremlino a scatenare il conflitto. È d’accordo?
J.S.: “Credo sia interessante tornare a una tesi del 1997 di Zbigniew Brzezinski, consigliere alla sicurezza sia con Lyndon Johnson sia con Jimmy Carter. Brzezinski spiegava che l'Ucraina è il perno, il cardine geografico dell'Eurasia. Chi controlla l'Ucraina, controlla l'Eurasia. Chi controlla l'Eurasia, controlla il mondo. Credo che gli strateghi americani abbiano puntato all'Ucraina da molto tempo. Non è neppure un disegno così sofisticato – spiega Sachs al Telegiornale – da allora gli Stati Uniti hanno sempre cercato di portare l’Ucraina nell’ovile occidentale, che significa nella NATO e nell’Unione Europea; ci stanno lavorando da tempo”.
D.: Crede che la richiesta di Finlandia e Svezia possa essere vista come un’altra preoccupazione?
J.S.: “È perfettamente logico vogliano unirsi alla NATO, ma pure perfettamente destabilizzante. Se avessimo un minimo di buon senso dovremmo dirgli: "Comprendiamo i vostri sentimenti, ma vi preghiamo di abbassare i toni perché se vogliamo raggiungere la pace questi passi non sono necessari”.
D.: Ed è critico anche sulle sanzioni adottate da Stati Uniti e Unione Europea?
J.S.: “Sulla scelta della guerra sono scettico, ma sulle sanzioni sono un esperto e non sono contrario all'imposizione di sanzioni se accompagnate da negoziati. Gli Stati Uniti avrebbero già dovuto impararlo con l’esperienza in Venezuela…”
D.: Perché le sole sanzioni sono controproducenti?
J.S.: “Oggi indubbiamente le sanzioni danneggiano l'economia russa, ma anche l'economia mondiale, compresa quella degli Stati Uniti ed Europa. Al di là dei proclami e della spavalderia. Non sono armi molto precise. Creano disordine per il mondo intero: noi americani siamo in una stagflazione sempre più profonda. L'Europa è certamente in crisi economica…”. Sachs esita un istante e poi ammette: “Se la Russia si arrende e si ritira nelle prossime due settimane, beh, allora mi sbaglio. Ma se la situazione si protrae a lungo, cosa accadrà?”
D.: Dopo oltre due mesi di guerra intravede segnali di speranza?
J.S.: “Il mio timore è che sarà un conflitto lungo con una possibile escalation nucleare. I generali americani non sembrano credere alle minacce di un reale ricorso alle 1600 testate nucleari russe… Dicono di non preoccuparsi. Ma dopo che ci è stato detto che Putin è un delinquente, un criminale di guerra e un genocida, perché sarebbe ragionevole non preoccuparsi?”
D.: Mentre gli USA si accingono a votare altri 40 miliardi di aiuti militari all’Ucraina, in Europa paiono levarsi voci sempre più scettiche verso la fornitura continua di armi. Penso a Macron, Scholz e Draghi. Il primo ministro italiano ha ricordato anche a Biden la differente preoccupazione europea.
J.S.: “Abbiamo bisogno delle voci europee per ricordare quanto sia pericolosa questa situazione. A modo loro anche Erdogan e Xi Jinping lo stanno ricordando. La crisi sta degenerando e ci deve essere una via di uscita. Una vita di uscita che era stata imboccata, ma che può ancora essere presa e deve essere presa”.