Spaghetti al pomodoro, pizza al prosciutto, patate al forno... viene l’acquolina in bocca al sol pensiero. Piatti che fanno parte della nostra tradizione culinaria, ben influenzata dalla vicina penisola. I carboidrati sono una grande fonte di energia e sono spesso legati ai piaceri della tavola, ma sappiamo davvero mangiarli in modo che non scatenino un continuo picco glicemico che, tanto funzionale, non è? Cerchiamo di fare chiarezza su alcuni punti.
Cosa è l’indice glicemico degli alimenti?
Si parla tanto di indice glicemico, soprattutto nel campo della nutrizione funzionale. L’indice glicemico (IG) è la velocità con cui 50 grammi di carboidrati provenienti da un determinato alimento fanno innalzare il livello di zucchero nel sangue (glicemia). Per intenderci, allo zucchero raffinato (glucosio puro), che è preso come riferimento, viene assegnato un valore pari a 100, al riso bianco in media 60, alla mela in media 40.
L’IG in poche parole con esempi pratici
Il glucosio (IG = 100): è il riferimento massimo, quindi fa aumentare la glicemia molto rapidamente.
Il riso bianco (IG ≈ 60): fa aumentare la glicemia meno velocemente rispetto al glucosio puro, ma comunque in modo significativo.
La mela (IG ≈ 40): ha un effetto più moderato sulla glicemia rispetto al riso bianco e al glucosio, quindi è considerata un alimento con indice glicemico più basso.
In generale:
IG alto (>70) = rapido aumento della glicemia (es. pane bianco, patate al forno, zucchero).
IG medio (56-69) = aumento moderato (es. riso, alcuni tipi di pasta).
IG basso (<55) = aumento lento e graduale (es. legumi, frutta, verdura).
E il carico glicemico, invece, che cos’è?
Diversamente dall’indice glicemico, il carico glicemico (CG) misura l’effetto sulla glicemia di un alimento in base alle quantità realmente consumate. Da qui si evince che, ad esempio, sebbene la zucca abbia un indice glicemico abbastanza alto, non avrà mai lo stesso effetto sulla glicemia come un piatto di pasta in bianco, questo perché il carico glicemico è influenzato dalla composizione nutrizionale di un alimento.
Il CG in poche parole con esempi pratici
Mentre l’indice glicemico (IG) misura solo la velocità con cui i carboidrati di un alimento fanno aumentare la glicemia, il carico glicemico (CG) tiene conto anche della quantità di carboidrati effettivamente consumata.
Formula del Carico Glicemico:
CG = IG × grammi di carboidrati per porzione / 100
Dove:
IG è l’indice glicemico dell’alimento
Grammi di carboidrati per porzione sono la quantità reale di carboidrati consumati
100 è un valore fisso necessario per il calcolo
Esempi pratici:
1. La zucca ha un IG alto (~75), ma ha pochissimi carboidrati per 100 g (~4g).
Se se ne mangiano 200 g, il calcolo per ottenere il CG è: 75 x 8 / 100 = 6, che indica un valore basso, quindi un impatto glicemico ridotto.
2. La pasta in bianco ha un IG medio (~60), ma tanti carboidrati (~70g per 100g di pasta secca).
Se si mangiano 80g di pasta secca (che diventano ~200 g da cotta), il CG è pari a 33,6, che indica un carico glicemico alto, quindi un effetto importante sulla glicemia.
Classificazione del carico glicemico per porzione:
Basso: CG < 10
Medio: CG tra 11 e 19
Alto: CG ≥ 20
Quindi, anche se due alimenti hanno lo stesso IG, il loro impatto reale sulla glicemia dipende dalla quantità di carboidrati ingeriti.
Ecco spiegato perché la zucca (IG alto ma pochi carboidrati) ha un effetto molto più blando rispetto a un piatto di pasta.
Cosa succede quando introduciamo un alimento con un indice glicemico alto come i carboidrati semplici?
Il pancreas crea l’insulina, indispensabile affinché il glucosio entri nella maggior parte dei tessuti e possa essere utilizzato, per riportare i valori di glucosio nel sangue a livelli normali.
Se mangiamo troppi carboidrati semplici, il rischio è che il glucosio nel sangue sia elevato e faccia salire rapidamente la curva della glicemia. Poi, altrettanto rapidamente, la farà crollare. Ecco il picco glicemico. A volte però il glucosio in circolo è troppo e non riesce ad essere smaltito: a questo punto viene conservato nei tessuti sotto forma di grasso prevalentemente viscerale che, oltre a determinare un aumento del peso, porta ad avere infiammazione.
Nel breve periodo, questi picchi portano ad avere attacchi di fame, nervosismo, mancanza di concentrazione, mentre nel lungo periodo può portare anche a diabete, insulino resistenza, ed altre malattie autoimmuni.
Non si eliminano i carboidrati, basta saperli abbinare
Cosa dobbiamo fare, dunque, per evitare questo saliscendi glicemico?
I carboidrati sono una fonte importante di energia e non vanno aboliti dalla nostra alimentazione, vanno però gestiti: abbinandoli ad una fonte di fibre, ad esempio le verdure, un grasso buono (olio di oliva, avocado, frutta a guscio, etc. ), e a una fonte proteica (pesce, tofu, uova, carne, tempeh, etc.) il carico glicemico del pasto si riduce notevolmente; questo perché le fibre, i grassi buoni e le proteine rallentano l’assorbimento del glucosio nel sangue.
Anche l’ordine nel quale consumiamo gli alimenti fa una grande differenza:
prima le fibre (verdure),
poi le proteine e i grassi,
da ultimo i carboidrati ricchi di amido.
Esempi pratici
Un piatto di pasta in bianco farà innalzare la curva glicemica, mentre un piatto di pasta ben condito con zucchine, pesce spada e un bel giro di olio extravergine di oliva avrà tutto un altro impatto sul nostro organismo.
Se davanti a noi abbiamo un piatto con del riso bianco, degli spinaci e delle uova, dovremmo mangiare prima gli spinaci (fibre), poi le uova (proteine/grassi) e da ultimo il riso (carboidrato/amido).
Un altro trucco per abbassare l’indice glicemico degli alimenti amidacei
C’è anche un altro trucco per abbassare l’indice glicemico degli alimenti amidacei, ossia quello di cuocerli, farli raffreddare per diverse ore (ad esempio tenendoli in frigorifero) e poi riscaldarli di nuovo. Questo metodo cambia la struttura degli amidi presenti nell’alimento trasformandoli da amidi normali ad amidi resistenti. Gli amidi resistenti sono praticamente delle fibre che non vengono digerite e arrivano nel colon intatte, dove fermentano diventando nutrimento per i batteri intestinali.
L’amido resistente ha diverse proprietà benefiche tra cui una funzione prebiotica, antinfiammatoria e di stabilizzazione degli zuccheri nel sangue.
Certamente non è sempre fattibile aspettare di far raffreddare la pasta e scaldarla nuovamente, anche perché la sua consistenza potrebbe variare un po’ e non essere più così gustosa. Però, preparare una porzione di patate bollite e il giorno seguente rosolarle in padella con olio extravergine di oliva, oppure cuocere del riso e una volta raffreddato utilizzarlo per un riso alla cantonese, possono essere idee gustose.
Mangiare gli alimenti nell’ordine giusto, abbinare i carboidrati a grassi buoni, fibre e proteine ed eventualmente farli raffreddare per poi scaldarli nuovamente, sono semplici accorgimenti che possiamo mettere in pratica per evitare di creare un’infiammazione cronica nel nostro corpo, che a lungo termine potrebbe causare problemi non indifferenti.
La dieta degli spaghetti
RSI Food 11.09.2024, 12:30
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