Da sempre la polenta viene principalmente associata alla cultura culinaria ticinese e del Nord Italia, ma se le sue radici fossero ancora più antiche? Esistono altri tipi di "polenta" in culture al di fuori della nostra e dei nostri vicini di casa italiani?
Il mondo della polenta è molto più ampio di quello che crediamo e all’origine il mais non c’entra…
La polenta è un piatto povero molto amato in Ticino e in tutta l’Italia del Nord e generalmente tendiamo ad associarlo al passato contadino dei nostri antenati. In realtà la “polenta” è un piatto arcaico, probabilmente uno dei primi impasti cotti dall’uomo e la protagonista non era la farina di mais giallo bensì il miglio, l’orzo e la segale, tutti cereali che prosperavano in Mesopotamia, Africa e Asia.
La farina macinata grossolanamente da questi cereali veniva poi resa commestibile cuocendola in acqua bollente salata.
La puls e i pultiferi: l’importanza della “polenta” in epoca romana
I romani la preparavano a partire da farina di farro e la servivano con un contorno di ceci, pesciolini sotto sale (gerres o maenae), frutta, formaggi, verdure cotte e a volte carne. La sua importanza nell’alimentazione dei romani è testimoniata da Seneca (75 d.C.) che scrisse: “Pulte, non pane, vixisse longo tempore Romanos manifestum“, ossia: di polta e non di pane vissero per lungo tempo i romani. Vi basti sapere che in epoca repubblicana la puls era un cibo tanto comune che i romani erano bollati come pultiferi, ossia mangiatori di polenta.
All'epoca la puls veniva consumata da tutti i ceti. Nelle case dei più abbienti veniva condita con latte, formaggi, pesce, carne di agnello, maiale e salsa acida; mentre i poveri la consumavano accompagnandola con verdure o scarti di animali. La variante più pregiata era una versione dolce, la puls punica: a base di farro medio, chiamato alica, che veniva poi unito in cottura a uova, miele e formaggio.
Polenta: le radici etimologiche
Proprio dal termine latino puls la polenta deriva il suo nome, mentre più curioso è il fatto che dallo stesso termine deriverebbe anche una parola poco lusinghiera nei confronti di quella che oramai è diventata una specialità tradizionale: poltiglia, complice la sua consistenza liquida e appiccicosa. Dalla texture di questo piatto scopriamo come il termine “polenta” possa essere generico ed applicabile a qualsiasi tipo di alimento a base di farina di cereali cotta lungamente in acqua calda fino a ottenere una crema liscia. Infatti, spesso nei ricettari di cucina ticinese si ritrova la denominazione di “polenta” o “pult” riferite ad esempio a pappe calde a base di farina di mais, farina di frumento o grano saraceno.
Ad esempio:
La pulenta in fiur è una polenta di farina di grano saraceno cotta nella panna o panna e latte, condita con formaggio e a volte anche uvetta.
La pulenta taragna è una miscela di farina di mais e di farina di grano saraceno, in genere condita con abbondante burro e formaggio.
La pult si presenta come una frittata a base di farina di grano saraceno.
Ricordiamo inoltre che nelle zone montane, dove la coltivazione diventa più complessa, per la polenta si usavano farine di castagne e fagioli.
Tra sostentamento e malattia, il ruolo della polenta nella civiltà contadina
In Ticino la polenta di mais si diffonde verso fine '700 in Leventina, ma è solo nel 1800 che conquista tutto il Ticino diventando un caposaldo dell'alimentazione dei contadini ticinesi.
Il mais, infatti, è un cibo particolarmente economico, nutritivo e ricco di carboidrati, vitamine e sali minerali, motivo per il quale il suo consumo è stato centrale nella dieta dei nostri antenati. Il suo consumo quotidiano forniva energia duratura, saziando a lungo le famiglie numerose occupate a lavorare i campi e a curare il bestiame. Pensate che i contadini consumavano circa due o tre chili di polenta al giorno, spesso senza alcun tipo di accompagnamento.
Purtroppo, il consumo di mais, carente di vitamina B3, unito a una dieta molto povera, contribuì alla diffusione della pellagra, che divenne una malattia estremamente diffusa fra il popolo contadino tra il XVIII e il XIX secolo.
A questo proposito è interessante sapere che la pellagra non era per nulla diffusa tra le civiltà precolombiane e in Messico. Il motivo? Il mais veniva - come ancora oggi in Messico - trattato con un bagno in “acqua di calce”, un trattamento che le popolazioni precolombiane chiamavano nixtamalizzazione. I chicchi di mais ben maturo erano bolliti in una soluzione alcalina, poi lavati e macinati per produrre la masa, ovvero la farina. Questo trattamento rende disponibili la niacina e altre vitamine contenute nel cereale.
Fortunatamente, oggi la consapevolezza sulla dieta e il giusto abbinamento dei cibi nel piatto sono concetti più diffusi e possiamo gustarci diverse varianti di questo “accompagnamento”, intramontabile classico ticinese.
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