Grazie alla neuroscienza culturale e al lavoro di Mario Ubiali (fondatore e direttore di Thimus - azienda che si occupa di neuroscienza culturale, specializzata nel mondo del cibo) capiremo come il cibo, esplorato attraverso la neuroscienza culturale, sia molto più che nutrizione.
Con la capacità di comprendere l’esperienza alimentare tramite segnali neurali, la neuroscienza culturale apre nuovi orizzonti per comprendere le radici profonde dell’identità, della memoria e della cultura attraverso il cibo.
Nell’era contemporanea, la neuroscienza ha fatto passi da gigante e un aspetto sorprendentemente nuovo riguarda il cibo. Non è più solo una questione di sapori, calorie o alimentazione, ma un crocevia tra cultura, identità e percezione. Dalla tavola passano quasi tutte le sfide di un Pianeta complesso e gran parte dell’identità degli esseri umani.
Oggi siamo in grado di dire che c’è un modo scientifico di misurare l’emozione del cibo
Grazie alla scienza, oggi è possibile capire (e tradurre in numeri) quei fattori che giocano un ruolo nelle scelte alimentari degli esseri umani: capire l’intreccio di emozioni, ricordi e cultura permette di migliorare la creazione di nuovi prodotti, l’evoluzione di quelli esistenti, l’educazione che condividiamo con le nuove generazioni; in poche parole, definire il cibo del futuro.
Il cibo è cultura perché ha un’influenza diretta sulla mia identità intesa come memoria e di conseguenza sul mio comportamento. È importante che tutti sappiano che esiste l’emozione del cibo e che si può misurare, perché questo ci insegna molte cose sul perché mangiamo.
Neuroscienza sensoriale: misurare le emozioni del cibo
Oggi, grazie alla neuroscienza, siamo in grado di misurare scientificamente l’emozione associata al cibo. Per molti questa affermazione è destabilizzante. Tuttavia, secondo Ubiali, la possibilità di misurare i segnali elettrici del cervello durante l’assunzione di cibo apre porte inaspettate alla comprensione di come il cibo venga percepito a livello mentale. Il cervello emette segnali e frequenze specifiche che possono essere tradotte in numeri per misurare, ad esempio, il grado di “familiarità” o di “gradevolezza” che un cibo suscita.
Questa tecnologia avanzata, spiega Ubiali, permette di analizzare i dati raccolti istante per istante, offrendo una “moviola” dell’esperienza culinaria. Attraverso strumenti come la “taste memory” – una memoria gustativa che sedimenta nel tempo – possiamo studiare come il cervello costruisca la preferenza per un sapore specifico o come classifichi qualcosa come familiare.
Quando mangiamo tendiamo a pensare che mangiare in fondo sia una questione di bocca, naso, masticazione, lingua, mi piace, non mi piace.
Quando usiamo la neuroscienza, noi cosa facciamo? Aggiungiamo a queste due dimensioni che sembrerebbero abbastanza semplici una terza dimensione che in qualche modo si potrebbe definire quella della mente.
Cibo e neuroscienza: l’esperimento al Giardino di Albert
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Perché mangiamo e qual è il nostro cibo preferito
La neuroscienza sensoriale, dunque, approfondisce il modo in cui i sensi, la memoria e le emozioni si uniscono a formare un’esperienza culinaria completa. Mangiare non è solo un atto meccanico di gusto, ma un processo che coinvolge la mente, portandoci a scoprire come, per esempio, i ricordi legati al cibo trascendano il semplice atto nutritivo: «Mangiare - sottolinea - è un atto di identità e di condivisione. Quando mangiamo tendiamo a pensare che mangiare in fondo sia una questione di bocca, naso, masticazione, lingua, mi piace, non mi piace. Con la neuroscienza noi cosa facciamo? Aggiungiamo alla parte sensoriale una terza dimensione che in qualche modo si potrebbe definire quella della mente. Le emozioni che noi proviamo, i ricordi, le memorie, l’attivazione che noi proviamo quando mangiamo, non scaturiscono dagli elementi sensoriali, l’emozione sta in un mondo magico molto più immateriale che non è il fatto solo di salato o piccante, per esempio. Quando aggiungiamo la dimensione della mente, scopriamo che il motivo per cui gli esseri umani mangiano non ha niente a che vedere con la nutrizione».
Il cibo per noi non ha un significato misurato in stelle Michelin o in costo per porzione o men che meno in valore nutrizionale, ha un significato culturale, questo ci dice la neuroscienza.
È a questo punto che Ubiali introduce il concetto di “comfort food” e di cibo del cuore, riportando un recente studio fatto negli Stati Uniti: «Ricordo l’intervista a un ragazzo messicano che viveva negli Stati Uniti e alla domanda qual è il tuo piatto del ricordo, la sua risposta è stata: il pasto da riscaldare nel microonde surgelato. Non ce lo aspettavamo. Lui poi ha raccontato essere il pasto che sua nonna gli preparava di ritorno a casa dal lavoro. Lui era orfano dei genitori e la nonna non aveva soldi per altro». Questo esempio fa comprendere come il cibo vada oltre il gusto: diventa un veicolo di memorie, storie e significati.
La neuroscienza culturale, dunque, permette non solo di capire meglio le motivazioni dietro ciò che mangiamo, ma anche di valorizzare l’esperienza del cibo come espressione di identità e connessione.
Neuroscienza, innovazione alimentare a cibo del futuro
A livello operativo, questa segmentazione offre un vantaggio straordinario per le aziende alimentari. Recentemente Ubiali ha collaborato con un’azienda europea che voleva esportare prodotti a base vegetale negli Stati Uniti. La neuroscienza ha evidenziato che la diversa densità del prodotto europeo, rispetto a quelli americani, suscitava un grado di familiarità inferiore nei consumatori statunitensi, riducendo il gradimento complessivo. La capacità di identificare questi dettagli senza bisogno di verbalizzazione da parte del consumatore è un esempio pratico dell’impatto che la neuroscienza può avere sul settore alimentare e sulla definizione del cibo del futuro.
La prossima epoca di determinazione culturale individuale è quella dell’alimentazione. Il cibo adesso è in assoluto il crocevia più politico su cui si misurano i processi futuri.
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