Le sirene d’allarme, i bagliori delle fiamme che squarciano il buio insieme al suono raggelante delle esplosioni. È la sera del 24 marzo 1999 e su Belgrado (Serbia) iniziano a piovere bombe. È scattata l’operazione Allied Force della NATO. In quell’istante, insieme all’odore acre, scatenato dagli ordigni e dai palazzi che crollano, chi assiste alla distruzione comincia ad avvertire una nausea. Sa che tornerà ancora l’odore della morte. In quel preciso istante si ritrova catapultato, per l’ennesima volta, nell’orrore, in un passato che credeva (e sperava) sepolto.
L’idea del ritorno di una guerra in Europa sembrava impossibile, invece questa è già la seconda azione militare dell’Alleanza Atlantica su territori dell’ex Jugoslavia (la prima, sotto il nome di operazione Deliberate Force, in Bosnia ed Erzegovina, era stata condotta dal 30 agosto al 20 settembre 1995). I bombardamenti fanno seguito al ritorno degli altri spettri lugubri della Seconda guerra mondiale: la pulizia etnica, i massacri, gli stupri.
La sera del 24 marzo 1999 l’incubo, dunque, torna a materializzarsi. I cacciabombardieri sono decollati dalla base di Aviano, nel Friuli-Venezia Giulia. L’ordine lo ha impartito Javier Solana, ai tempi segretario della NATO (costituita da USA, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Canada, Spagna, Portogallo, Danimarca, Norvegia, Turchia, Paesi Bassi e Belgio). Il comandante in capo dell’Alleanza Atlantica era allora il generale statunitense Wesley Clark.
I raid contro la Repubblica Federale di Jugoslavia di Slobodan Milosevic si concludono solo dopo 78 giorni, il 9 giugno. Il giorno prima lo Stato Maggiore serbo, persa la guerra, non ha altra scelta che firmare l’accordo di Kumanovo sul ritiro dal Kosovo (che era parte della Repubblica Federale di Jugoslavia).
La NATO inizia l’attacco alla Serbia
RSI Info 24.03.1999, 16:09
Il ruolo della Confederazione con Swisscoy
Il 12 giugno arrivano le truppe della Kosovo Force (KFOR) composte, tra gli altri, da soldati statunitensi, tedeschi, italiani, francesi, turchi. Non mancano gli svizzeri. Dal 1999, infatti, l’esercito elvetico partecipa con Swisscoy alla missione internazionale per promuovere la pace in Kosovo, un impegno che si basa sulla risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Le vittime e la devastazione
Sotto la pioggia martellante di ordigni sganciati in 2’300 attacchi aerei durante tutta l’operazione NATO, diretti contro obiettivi militari (ma anche civili), avrebbero perso la vita almeno 2’500 persone (tra queste 89 bambini), altre 12’000 rimangono ferite (Human Rights Watch stima fra 489 e 528 il numero di civili uccisi dai soli bombardamenti). I profughi vengono stimati tra 700’000 e 1 milione. Oltre al numero dei morti causati dai bombardamenti dell’alleanza Atlantica, vanno aggiunti anche quelli dei massacri: da un lato compiuti dai serbi e dall’altro dai guerriglieri albanesi dell’UCK (Esercito di liberazione del Kosovo). Secondo stime, sulle quali non vi sono certezze, in Kosovo furono uccisi più di 13’000 civili, di cui circa 10’000 albanesi e circa 2’000 serbi. Migliaia i dispersi.
Un edificio in fiamme a Belgrado dopo i bombardamenti NATO (foto del 4 aprile 1999)
I proiettili NATO con uranio impoverito: la lunga scia di morte
Non finisce qui. La NATO impiega anche uranio impoverito, per rendere ancora più micidiale l’effetto dei proiettili. Ma questo lascerà un’ulteriore scia di morte negli anni successivi, con numerosi casi di leucemia e di cancro, difficili da quantificare, sia tra la popolazione locale sia tra i militari (anche tra quelli dell’Alleanza atlantica, ammalatisi dopo essere stati in missione in Kosovo). Anche le acque di Sava e Danubio vengono inquinate dalle sostanze radioattive.
Oltre agli obiettivi militari, finiscono nel mirino dei caccia NATO anche infrastrutture civili: vengono distrutti, tra l’altro, 82 ponti, 14 centrali termoelettriche, 13 aeroporti, 20 stazioni ferroviarie, 148 edifici, 121 fabbriche. Danneggiati 300 edifici scolastici, ospedali e istituzioni statali. Vengono interrotte le telecomunicazioni (colpita anche la sede della televisione pubblica serba, 16 morti). I danni materiali vengono stimati in 100 miliardi di dollari.
Tra i tanti, tristi, episodi che vengono ricordati ci sono quelli del 1 maggio (47 civili uccisi su un bus, centrato mentre attraversa un ponte), dell’8 maggio (3 morti nell’ambasciata cinese colpita a Belgrado, episodio che scatenerà tensioni internazionali), del 13 maggio (a causa della NATO vengono uccise 60 persone - i feriti sono 80 - nel villaggio kosovaro di Korisa: l’Alleanza Atlantica accusa i serbi di aver usato i civili come scudi umani).
La lunga eco dei bombardamenti
RSI Info 25.03.1999, 15:58
Una guerra senza mandato ONU
I raid NATO dell’operazione Allied Force vengono decisi senza mandato ONU (manca l’approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite), cosa che scatena polemiche sulla legittimità dell’intervento militare. La Serbia li definisce un’aggressione illegale, ma secondo i leader alleati i bombardamenti sono necessari: servono a spingere Belgrado alla trattativa (dopo il rifiuto serbo di firmare il piano di pace per il Kosovo, proposto a Rambouillet), a contrastare lo spostamento forzato della popolazione del Kosovo (all’epoca parte della Repubblica federale di Jugoslavia), a fermare la politica di repressione e pulizia etnica avviata dal leader serbo Slobodan Milosevic. In particolare la causa scatenante della reazione dell’Alleanza Atlantica viene fatta risalire a quanto accaduto il 15 gennaio 1999 a Racak, località a sud di Pristina, nell’ambito della guerra del Kosovo. Qui la parte kosovara denuncia un massacro di civili innocenti (una quarantina di persone di etnia albanese), da parte dei serbi. La comunità internazionale non accetta la versione di Belgrado, secondo cui, invece, le persone uccise sono guerriglieri indipendentisti albanesi dell’UCK (che aveva iniziato a compiere violenze contro la popolazione di etnia serba già dal 1995), un’organizzazione terroristica secondo la Serbia.
Oggi, 25 anni dopo, la posizione della Serbia su quella che ritiene una “aggressione illegale”, rimane la stessa. Il 25 marzo 2024 una seduta del Consiglio di sicurezza dell’ONU sarà dedicata all’anniversario. Il ministro degli esteri serbo, Ivica Dacic, intende spiegare alla comunità internazionale la posizione di Belgrado sui bombardamenti NATO. Il ministro ribadisce che si trattò di una “aggressione illegale, decisa senza mandato dell’ONU, che segnò l’inizio della violazione del diritto internazionale e del principio di rispetto della sovranità e integrità territoriale degli Stati”, alludendo alla successiva proclamazione unilaterale di indipendenza da parte del Kosovo. Dacic, inoltre, ha detto di non credere a un ravvedimento dei Paesi che parteciparono ai bombardamenti o a una loro richiesta di scuse. La cosa importante - ha detto - è che si ascolti la versione e la verità della parte serba.
Le sirene di Belgrado
RSI/Romina Vinci 24.03.2018, 08:00
Per il regista serbo Emir Kusturica, dopo i bombardamenti NATO del 1999 sul loro Paese, i serbi odiano l’Alleanza Atlantica. “Il nostro popolo li odia. Per noi la NATO commise un crimine che non si può dimenticare”, ha detto il regista in occasione dell’anniversario al quotidiano moscovita Izviestija. “Penso che si trattò di una decisione strategica. L’Unione Sovietica si era dissolta, e i Paesi NATO volevano mostrare all’Europa chi era il padrone”, ha aggiunto Kusturica, noto per posizioni a sostegno del nazionalismo serbo.
Intanto a Belgrado alcuni enormi edifici, sedi del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore, colpiti nel centro della capitale nel 1999, sono stati volutamente lasciati in macerie, per ricordare i bombardamenti subiti quel lontano 24 marzo 1999.
NATO, nuove forze in Kosovo
Telegiornale 30.05.2023, 20:00
Notiziario
Notiziario 24.03.2024, 11:00