La giornalista italiana Cecilia Sala è stata arrestata a Teheran il 19 dicembre e da allora è in isolamento nella prigione di Evin, dove vengono detenuti dissidenti iraniani e cittadini stranieri. Lo ha reso noto solo oggi (venerdi 27) il Ministero degli esteri italiano. L’ambasciatrice italiana in Iran, Paola Amadei, ha potuto visitarla ed accertarsi delle sue condizioni di detenzione. Al momento non sono state formalizzate accuse
29 anni, collaboratrice del quotidiano “Il Foglio” e della società di podcast “Chora Media”, Sala si trovava in Iran da una decina di giorni con un regolare visto giornalistico e si stava preparando a tornare in patria quando è stata fermata. La giornalista aveva già pubblicato diversi reportage sui cambiamenti avvenuti dopo la caduta del presidente Bashar al Assad in Siria.
La ricostruzione fatta da Chora Media
Spiegano alla redazione di Chora Media: “la mattina del 19, dopo uno scambio di messaggi, il suo telefono è diventato muto. Conoscendo Cecilia, che ha sempre mandato gli audio per le puntate del podcast con estrema puntualità anche dal fronte ucraino nei momenti più difficili, ci siamo preoccupati e insieme al suo compagno, il giornalista del Post Daniele Raineri, abbiamo allertato l’Unità di Crisi del Ministero degli Esteri. Abbiamo chiamato i suoi contatti iraniani, ma nessuno sapeva dove fosse finita. La mattina di venerdì non si è imbarcata sul volo di ritorno e la situazione si è fatta ancora più angosciante”.
Tajani: stiamo lavorando, chiediamo riserbo
La notizia del fermo della giornalista ha sollevato un’ondata di solidarietà e di proteste da parte del mondo politico, giornalistico e sindacale italiano. Anche Amnesty international auspica la sua pronta scarcerazione perchè “il giornalismo non è reato”.
“Il governo sta lavorando con la massima discrezione per cercare di riportarla in Italia”, ha detto nel pomeriggio il ministro degli esteri italiano Antonio Tajani. “Raccomandiamo di attenersi alla massima riservatezza”
Dieci giorni fa un iraniano arrestato alla Malpensa
Mohamed Abedini Najafabadi, 38enne di Teheran, è stato bloccato il 16 dicembre scorso su mandato della giustizia degli Stati Uniti all’aeroporto della Malpensa, dove era appena atterrato da Istanbul. L’uomo è detenuto nel carcere di Busto Arsizio (Varese) in regime di stretta sorveglianza. La corte d’Appello di Milano deve decidere sulla sua estradizione.
Insieme a Mahdi Mohammad Sadeghi, cittadino statunitense-iraniano di 42 anni, fermato negli USA, è accusato da un giudice federale di Boston di cospirazione per esportare componenti elettronici dagli Stati Uniti all’Iran, in violazione delle sanzioni e delle leggi sul controllo delle esportazioni.
Abedini è accusato in particolare di avere fornito supporto materiale ai Pasdaran, i guardiani della rivoluzione iraniana, che sono considerati da Washington una organizzazione terroristica. II suo aiuto avrebbe permesso un attacco con un drone su una base in Giordania nel quale trovarono la morte tre militari statunitensi.
Nel bagaglio di Abedini gli investigatori italiani hanno trovato componentistica elettronica compatibile con i reati contestati dalla Corte di giustizia statunitense, oltre a materiale cartaceo, bancario e commerciale, apparecchi telefonici e informatici.
Il 22 dicembre scorso il ministero degli Esteri di Teheran ha convocato l’ambasciatrice svizzera in Iran (che rappresenta gli interessi USA) e l’ambasciatrice italiana per protestare contro gli arresti. “Consideriamo sia le crudeli e unilaterali sanzioni statunitensi contro l’Iran sia questi arresti come contrari a tutte le leggi e gli standard internazionali”, sostiene l’Iran.