Al recente vertice di Helsinki, NATO e Unione Europea hanno concordato di lanciare una missione di monitoraggio del Mar Baltico in seguito a diversi gravi incidenti che hanno danneggiato infrastrutture sottomarine critiche nei mesi scorsi. In diversi casi, i sospetti sono caduti sulla cosiddetta flotta fantasma russa e il Cremlino è stato accusato di mettere in pericolo la sicurezza e l’ambiente della regione. Dopo l’inizio del conflitto in Ucraina, il Mar Baltico è diventato teatro di vari episodi di quella che viene definita guerra ibrida, coinvolgendo tutti gli attori in campo. Se gli episodi più recenti hanno interessato navi al servizio del Cremlino, in altri sono state coinvolte anche imbarcazioni cinesi. Senza contare che il sabotaggio del gasdotto Nord Stream, che collegava direttamente Russia e Germania, è stato il primo episodio in assoluto nel settembre del 2022, e l’azione è stata compiuta da un commando ucraino.
Sabotaggi ed episodi sospetti
NATO e Unione Europea si sono comunque accordate per intensificare pattugliamenti e controlli, puntando l’indice contro la flotta fantasma russa, il cui utilizzo da parte del Cremlino rappresenta una minaccia particolare per la sicurezza marittima e ambientale nella regione e a livello globale, mettendo a rischio l’integrità delle infrastrutture sottomarine, aumentando i pericoli ambientali e favorendo il finanziamento della guerra di Mosca contro Kiev mediante l’aggiramento delle sanzioni. Nei radar occidentali non c’è solo Mosca, ma anche Pechino: in uno degli incidenti sospetti, nell’ottobre del 2023, è stato infatti un cargo cinese, il Newnew Polar Bear, a danneggiare con la sua ancora l’Interconnettore baltico, uno dei vari gasdotti tra la Scandinavia e l’Europa; anche la Yi Peng 3 è stata sospettata nel novembre del 2024 di aver spezzato un cavo di comunicazione tra Finlandia e Germania.
Nell’ultimo dei casi, lo scorso dicembre, sarebbe stata invece una petroliera battente bandiera delle Isole Cook, la Eagle S, ma appartenente appunto alla flotta fantasma russa, a tranciare allo stesso modo l’Estlink, connessione elettrica portante tra Estonia e Finlandia. Secondo la NATO e l’Unione Europea, si sarebbe sempre trattato di provocazioni russe e cinesi per testare le reazioni occidentali. Oltre alla guerra ibrida, c’è il fatto che alcune petroliere al servizio di Mosca sarebbero vere e proprie carcasse del mare, come la Eventin, bandiera panamense, andata in avaria davanti alle coste tedesche all’inizio di gennaio 2025 e trascinata in porto prima che causasse un vero disastro ambientale.
Giro di vite e nuove sanzioni
Le stime attuali indicano che la flotta fantasma russa consti di oltre 400 navi, circa il 10-15% della capacità globale delle petroliere. Si tratta soprattutto di vecchie navi, la cui manutenzione è al di sotto della media, la cui proprietà è nascosta e i cui rischi sono gravemente sotto assicurati. Le sanzioni di Stati Uniti ed Europa proibiscono infatti alle aziende occidentali di fornire imbarcazioni, servizi di finanziamento e assicurazione agli esportatori di petrolio russi. Le compagnie energetiche di Mosca riescono comunque a utilizzare singoli finanziatori stranieri come prestanome per acquistare petroliere obsolete in tutto il mondo tramite le reti di società offshore.
A ciò si aggiungono i divieti di scalo nei porti occidentali, che vengono sempre più estesi anche alle cosiddette “navi ombra”. Le sanzioni mirano a ridurre al minimo le entrate del Cremlino derivanti dalle esportazioni di petrolio senza tuttavia compromettere troppo le forniture internazionali di petrolio. Solo dall’estate del 2024 l’Unione Europea ha iniziato a sanzionare singole petroliere che non battono bandiera russa, impedendo lo scalo nei porti comunitari o l’utilizzo di servizi di società europee. Finora, Bruxelles ha sanzionato quasi 80 navi, la Gran Bretagna oltre 50, mentre gli USA hanno recentemente inserito 183 navi nella loro black list.
Prezzi record in attesa degli USA
Le sanzioni occidentali contro la flotta fantasma russa, ma anche contro le aziende e le banche collegate al settore energetico vitale per il Cremlino, dovrebbero servire a ridurre le entrate russe e condizionare i finanziamenti per la guerra in Ucraina. Da un lato, stanno aumentando in efficacia e gli ultimi giri di vite sono pensati per ridurre l’export verso Cina e India, costringendo i due paesi che sino ad ora hanno approfittato degli sconti di Mosca a rifornirsi di più in Medio Oriente e Africa: nei primi 11 mesi dell’anno scorso, le importazioni di greggio russo dall’India sono aumentate del 4,5% su base annua, ovvero il 36% sull’import totale di Nuova Delhi; quelle cinesi sono cresciute del 2%, rappresentando il 20% del totale. I nuovi provvedimenti restrittivi dovrebbero far invertire quantomeno la tendenza.
Nel frattempo, però, i prezzi del petrolio sono schizzati verso l’alto negli ultimi mesi, superando gli 80 dollari al barile per il Brent, facendo il gioco anche di Vladimir Putin. Da un lato, c’è la minor presenza di greggio sul mercato e l’aumento delle tensioni internazionali in aree chiave, come il Medio Oriente. In attesa di vedere cosa succederà dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca e di capire se gli Stati Uniti daranno una svolta decisa, aumentando produzione ed export, facendo diminuire i prezzi e assestando in questo modo altri colpi indiretti alla Russia.