“Esiste una concreta possibilità di concludere l’accordo questa settimana, prima che il presidente Joe Biden lasci la Casa Bianca”, ha dichiarato il consigliere per la sicurezza USA Jake Sullivan a Bloomberg. Ancora più ottimistiche le dichiarazioni in serata dello stesso Biden che ha parlato di “accordo sul punto di essere chiuso”.
Parole che arrivano dopo una notte cruciale a Doha, dove la svolta nei colloqui sembra essere stata raggiunta con l’incontro tra l’inviato di Trump, Steve Witkoff, il primo ministro del Qatar Al Thani e il direttore del Mossad David Barnea. Sembra insomma la volta buona. Anche Hamas ha commentato lunedì le notizie sempre più insistenti di un imminente accordo di cessate il fuoco a Gaza. Secondo le dichiarazioni di un funzionario del gruppo palestinese ai media internazionali, i colloqui su alcune questioni fondamentali hanno fatto progressi e si lavora per chiudere. In una nota successiva, Hamas comunica ai detenuti palestinesi che “sono vicini alla loro liberazione”.
Parole che seguono quelle del ministro degli Esteri israeliano, Gideon Saar, secondo cui Israele sta lavorando “duramente” per ottenere un accordo che ponga fine alla guerra nella Striscia e permetta il rilascio degli ostaggi detenuti nel territorio palestinese. “Israele vuole davvero liberare gli ostaggi e sta lavorando duramente per raggiungere un accordo. I negoziati stanno progredendo”, ha dichiarato lunedì in una conferenza stampa congiunta con il suo omologo danese, Lars Løkke Rasmussen.
Negli ultimi giorni si sono intensificati i negoziati indiretti per il rilascio dei 94 ostaggi, 34 dei quali sono morti secondo l’esercito, e per un accordo di tregua con il movimento islamista.
Nonostante gli intensi sforzi diplomatici guidati da Qatar, Egitto e Stati Uniti, le armi sono tornate a sparare dalla tregua di una settimana raggiunta alla fine di novembre 2023, quando ci fu il rilascio di un centinaio di ostaggi. A dicembre si sono tenuti dei negoziati a Doha, ma Hamas e Israele si sono reciprocamente accusati di averli bloccati.
Secondo i commentatori israeliani, un accordo è ora a portata di mano, in particolare grazie alla decisione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di ignorare le pressioni dei suoi ministri di estrema destra, che fanno parte della sua coalizione, rafforzata all’inizio di novembre dal sostegno del partito di centro-destra Saar.
Di fronte alle voci di un imminente intesa, il ministro israeliano di estrema destra Bezalel Smotrich ha dichiarato che non avrebbe appoggiato un “accordo di resa che includa il rilascio degli iper-terroristi, la fine della guerra e la perdita di ciò che è stato guadagnato a costo di molto spargimento di sangue e l’abbandono di un gran numero di ostaggi”.
A far capire lo stato di avanzamento dei colloqui intanto è arrivata anche una dichiarazione di Kadora Fares, capo del Comitato per i detenuti palestinesi, responsabile della questione dei detenuti nelle carceri israeliane. Intervistato dall’agenzia di stampa palestinese Maan, Fares ha spiegato domenica che Israele rilascerà più di 3’000 detenuti palestinesi, tra questi anche 200 condannati all’ergastolo, e altri mille di cui fanno parte minorenni, donne e prigionieri malati. In cambio - ha riferito una fonte politica di alto livello a Ynet - Hamas deve rilasciare 33 ostaggi israeliani e stranieri vivi, compresi i soldati dell’IDF feriti che non rientrano nella categoria “umanitaria”.
Il piano, secondo quanto riferito lunedì mattina da Channel 12, sarebbe sostanzialmente simile a quello di maggio: accordo in tre fasi, che inizierebbe con la liberazione di 33 israeliani della ‘lista umanitaria’. Il sedicesimo giorno del cessate il fuoco, le parti inizieranno a discutere la seconda fase, che prevederà il ritorno dei giovani e dei soldati. Nella terza fase le parti discuteranno del Governo alternativo nella Striscia e della riabilitazione di Gaza.
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