L’analisi

I tentativi di mediazione tra Ucraina e Russia sono futili

La mossa di Viktor Orban e le reazioni Occidentali fanno il gioco di Mosca - Lo stallo durerà almeno fino a novembre

  • 7 luglio, 09:30
  • 9 luglio, 13:49
Viktor Orban e Vladimir Putin

Vladimir Putin sorride

  • Keystone
Di: Stefano Grazioli 

La visita di Viktor Orban a Mosca ha scatenato dure reazioni da parte dei vertici dell’Unione Europea e della NATO. Il premier dell’Ungheria, Paese che ha assunto da pochi giorni la presidenza semestrale di turno dell’UE, dopo essere stato a Kiev e aver incontrato Volodymyr Zelensky, si è recato da Vladimir Putin. L’iniziativa, personale, del primo ministro di tentare di accorciare le distanze tra la Russia e l’Occidente sulla questione ucraina, non era stata concordata, tanto meno approvata, né da Bruxelles, né dalla NATO, anche se l’ancora segretario dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg ha detto di aver saputo delle intenzioni di Viktor Orban.

Mediazione ungherese e turca

Le velleità di mediazione ungheresi sono in ogni caso schiantate contro il Muro del Cremlino, con la posizione immutata di Vladimir Putin, che prevede un eventuale dialogo per la pacificazione partendo dallo status quo territoriale e il futuro neutrale dell’Ucraina, punti che sia Kiev che l’Occidente considerano inaccettabili. Il capo di Stato russo ha ribadito in sostanza la risposta che un paio di giorni prima aveva dato a Recep Tayyp Erdogan, incontrato al vertice della SCO, l’Organizzazione di Shanghai: il presidente della Turchia, paese membro della NATO con un ruolo chiave in Medio Oriente, aveva dato la disponibilità per facilitare l’inizio di negoziati tra Mosca e Kiev, incassando però il chiaro “niet” russo.

Strategia russa e problemi occidentali

Le due vicende, evidentemente analoghe, possono essere lette sotto vari punti di vista, ma mostrano da una parte quale sia la strategia precisa del Cremlino, dall’altra quanto sia l’Unione Europea che la NATO abbiano problemi non solo di comunicazione. Nel contesto della guerra di logoramento e del duello a tutto campo con l’Occidente, Putin è sempre alla ricerca dei momenti e degli elementi che possono minare l’unità dello schieramento avversario, fatto di Paesi che appartengono sì ad alleanze ben definite, ma che non sempre sono totalmente allineati e comunque devono fare i conti con le spinte spesso contrastanti al loro interno. Il caso di Orban e dell’Ungheria è forse il più eclatante, perché i rapporti tra Budapest e Mosca sono consolidati da molto tempo, ma dentro gli Stati dell’Unione Europea gli umori divergono, la sintesi a Bruxelles risulta spesso difficile, e anche le recenti elezioni hanno dato spazio alle forze più critiche della linea dura con la Russia. Se l’UE parla sempre a una voce (deve trovare i compromessi per farlo), il Cremlino ha sempre tentato di accentuare divisioni già presenti.

Reazioni automatiche

Le reazioni dell’Unione e della NATO al tentativo di Orban di profilarsi come mediatore, sono state dunque automatiche, ma non hanno fatto altro che fare anch’esse il gioco del Cremlino. Ancor più se ci si riallaccia all’incontro tra Erdogan e Putin, con lo stesso esito. Se la NATO ha tenuto a specificare che il premier ungherese non era in missione per conto dell’Alleanza, non è chiaro allora quale interpretazione si debba dare alla mediazione del presidente turco, che nel corso degli oltre due anni di guerra si è incontrato più volte con il suo omologo russo, ha avuto un ruolo chiave nell’accordo sul grano e ripetutamente si è offerto di fare da pacificatore. Il problema non sta nella linea dei Cremlino, che ha distribuito le stesse parole a tutti, ma appunto in quella dell’Alleanza atlantica, che da una parte ha lasciato quasi carta bianca a uno dei suoi alleati storici e dall’altra si è distanziato da quello ungherese, senza oltretutto aver messo a conoscenza i partner dell’Unione sulla missione di Orban a Mosca, almeno a quanto è dato a sapere.

Il ruolo di Washington

Per Vladimir Putin l’unico partner per il dialogo sulla strada, lunga e impervia, della risoluzione del conflitto in Ucraina, sono gli Stati Uniti: la fine della proxy war nell’ex repubblica sovietica e la realizzazione di una nuova architettura di sicurezza continentale passano dai colloqui diretti tra Mosca e Washington, anche sopra la testa di Kiev. I tentativi di mediazione sono futili, al di là del gioco della propaganda, proprio perché vengono da iniziative singole e non coordinate. La posizione russa è nota e Putin l’ha ribadita sia con Erdogan che con Orban, e in assenza di mutamenti al fronte, difficilmente cambierà. L’attesa è per chi arriverà a novembre alla Casa Bianca e se e quali saranno gli eventuali cambiamenti che il nuovo presidente statunitense adotterà sulla scacchiera ucraina. I prossimi saranno mesi di stallo, le prossime mosse toccheranno a Donald Trump o Joe Biden, forse.

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