Alla fine di gennaio la Corte arbitrale della regione di Mosca ha congelato i beni dell’oligarca Dmitry Kamenshchik, che tramite la holding DME LLC controllava Domodedovo, uno degli aeroporti più grandi del paese, situato a sud della capitale. L’ufficio del procuratore generale russo ha successivamente trasferito la piena proprietà allo Stato, sostenendo che Kamenshchik e il socio Valery Kogan hanno violato la legge poiché, avendo anche cittadinanza diversa da quella russa, il primo quella turca, il secondo quella israeliana, non potevano operare in settori strategici legati alla difesa e alla sicurezza nazionale senza la previa approvazione del governo. L’aeroporto di Domodovo è stato in sostanza nazionalizzato così nel giro di un paio di giorni.
Da Yukos alla guerra in Ucraina
Il caso è solo l’ultimo di una lista che si è allungata soprattutto negli ultimi tre anni, dopo l’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina. Secondo un’analisi del CEPR (Centre for Economic Policy Research) i casi analoghi sono stati circa 500, riguardanti appunto nazionalizzazioni, ordinate dai tribunali, di asset giudicati in qualche modo ottenuti o gestiti illegalmente, vendite forzate a entità statali di aziende private ritenute strategicamente importanti per lo sforzo bellico, oppure vere e proprie espropriazioni e sequestri nei confronti di beni di società straniere, anche come risposta a misure analoghe o comunque sanzionatorie da parte di paesi considerati ostili. Al di là dell’accelerazione avvenuta dal 2022, la questione delle nazionalizzazioni ha un lungo corso: nell’epoca di Vladimir Putin la madre di tutte può essere considerata quella del colosso petrolifero Yukos, controllato dall’oligarca Mikhail Khodorkovsky, espropriato all’inizio degli anni Duemila.
Espropriazioni contro società straniere
Dopo l’inizio del conflitto in Ucraina il Cremlino ha risposto alle sanzioni occidentali e alle misure restrittive contro finanze e beni della Federazione russa all’estero, prendendo di mira le società straniere in Russia, emanando inizialmente un decreto ad hoc sulla gestione statale temporanea dei beni russi di società straniere: due società energetiche europee, la tedesca Uniper e la finlandese Fortum, sono state le prime a essere sottoposte a questa regolamentazione, seguite da altre 250 società nei tre anni successivi all’invasione. Altri casi, tra i più clamorosi, visti i colossi dei rispettivi settori coinvolti, hanno riguardato il gigante petrolifero statunitense ExxonMobil e quello alimentare francese Danone, espropriazione poi comunque revocata. Anche la sussidiaria russa della società di birra danese Carlsberg, Baltika, è stata posta sotto temporanea gestione statale.
Nazionalizzazioni approvate dai tribunali
Se il caso di Domodedovo è stato l’ultimo, dal 2022 i tribunali russi hanno emesso verdetti sulla nazionalizzazione di quasi 200 aziende. Secondo il CEPR i pubblici ministeri usano comunemente le denunce di violazioni della privatizzazione degli anni Novanta per sequestrare aziende private da imprenditori ritenuti ostili al regime del Cremlino: è il modello Yukos, che ha fatto scuola nel corso dei decenni. Accanto a quella che è considerata la clava della giustizia, sempre stata selettiva nei confronti degli oligarchi, facendo la differenza tra quelli più accondiscendenti e i ribelli, è vero però che il periodo delle privatizzazioni selvagge nella fase di transizione postcomunista (il decennio sotto la presidenza di Boris Yelstin, tra il 1991 e il 1999) non è stato proprio la culla della legalità e della correttezza, per cui è sempre stato facile trovare macchie tra chi le vesti non le ha mai avute pulite. Tra le nazionalizzazioni recenti motivate dalle esigenze di guerra ci sono quelle degli stabilimenti metallurgici di Chelyabinsk, Serov e Kuznetsk, decise dalla Corte arbitrale regionale di Sverdlovsk dopo che pubblici ministeri avevano affermato che erano stati privatizzati illegalmente proprio negli anni Novanta e le esportazioni negli Stati Uniti avevano violato gli interessi della sicurezza nazionale.
Vendite forzate e oligarchi amici
Già lo scorso anno Trasparency International aveva analizzato le nazionalizzazioni effettuate dal Cremlino, notando come hanno colpito in particolare i magnati considerati antipatriottici. L’esempio più eclatante è stato quello di Oleg Tinkoff, che dopo essersi espresso contro la guerra in Ucraina ha dovuto vendere il 35% della Tinkoff Bank a Vladimir Potanin, oligarca che già ai tempi di Yeltsin si era contraddistinto per la fedeltà al potere. Gli oligarchi legati a Vladimir Putin, piccoli e grandi, sono spesso secondo Trasparency i beneficiari dei vari passaggi di proprietà di aziende e beni, con molte aziende statali che sono controllate anche dai fedelissimi del presidente. In sostanza l’economia russa è sempre più nelle mani dello Stato o comunque gestita da attori fedeli al Cremlino, in un quadro di capitalismo statale che il conflitto in Ucraina ha notevolmente accentuato. Il processo è inverso a quello in Ucraina, dove invece lo Stato ha allentato il controllo anche su asset considerati strategici, lasciando spazio alle privatizzazioni favorendo soggetti stranieri.
Continuano gli scontri in Ucraina
Telegiornale 06.02.2025, 20:00
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Zelensky apre a negoziati diretti con Putin
Telegiornale 05.02.2025, 12:30
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Putin, apertura apparente
Telegiornale 24.01.2025, 20:00