Radhya al-Mutawakel è un'avvocata che nel 2014 ha fondato insieme al marito l’organizzazione “Mwatana” per documentare le violazioni dei diritti umani in Yemen. Una settantina di suoi collaboratori sono attivi in tutto il paese. Ha lasciato lo Yemen a giugno dell’anno scorso per potersi dedicare all’attività di sensibilizzazione, ma spera di rientrare presto. È stata la prima civile a intervenire al Consiglio di sicurezza dell’Onu per riferire sulla condizione del suo paese. Il nostro corrispondente Emiliano Bos l’ha incontrata a Washington, dopo una serie di incontri al Congresso. Per prima cosa le ha chiesto quale messaggio abbia voluto dare a deputati e senatori americani.
Ho voluto dire loro che possono svolgere un ruolo fondamentale per fermare la guerra in Yemen. Innanzitutto dovrebbero smettere di vendere armi ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi. E poi interrompere l’assistenza militare e politica. Sarebbe un passo significativo verso la pace. La mia organizzazione – Mwatana – ha presentato un rapporto in cui documentiamo le tracce di armi americane: centinaia di persone sono state uccise. Ho voluto mostrare a deputati e senatori la partecipazione americana alla guerra in Yemen. Questo atteggiamento dovrebbe cambiare.
Lei ha la percezione che qualcosa stia cambiando, almeno qui negli Stati Uniti?
Ho visto che c’è molta pressione e un’attenzione crescente persino al Congresso. Anche tra i repubblicani: alcuni hanno votato per interrompere l’assistenza militare ai sauditi sulla guerra in Yemen…sì, mantengo la speranza. Non posso credere che non ci sia speranza.
Una svolta è avvenuta senz’altro dopo l’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi che lavorava qui negli Stati Uniti. Forse la morte di una persona ha cambiato di più rispetto alle migliaia di vittime di cui sappiamo?
È stato una sorta di miracolo. Dopo l’omicidio di Khashoggi cè stata molta attenzione verso lo Yemen e una pressione molto forte, utile per spingere le parti a sedersi a un tavolo e avviare i negoziati. Questo è il processo di pace più importante dall’inizio della guerra. Se la pressione diminuisce, perderemo questa opportunità. Ecco perché ho chiesto al Congresso di mantenere questa pressione per mettere fine alla guerra in Yemen.
Cosa serve adesso?
Come avvocato che si occupa di diritti umani, direi innanzitutto che è necessario obbligare le parti in guerra a interrompere le violazioni contro la popolazione civile. Ma anche il processo di pace deve proseguire e l’inviato speciale Onu deve avere il sostegno della comunità internazionale per lavorare a un accordo di pace complessivo.
Lei ha l’impressione che la pace sia possibile? Malgrado la presenza di gruppi armati nelle diverse zone del paese?
La pace in Yemen è davvero possibile. Perché c’è una debolezza politica in tutte le parti parti. Sono entrambi sconfitti e hanno commesso gravi violazioni. Non hanno un piano di pace né un programma. È facile spingerli alle trattative. Anche perché la maggior parte della popolazione in Yemen è composta da civili. Si, credo la pace sia possibile.
Come attivista dei diritti umani, poche voci dall’interno, come si vive?
È grave che lo Yemen sia bloccato a giornalisti, attivisti per i diritti umani e organizzazioni internazionali non possano venire facilmente nel nostro paese. La società civile sta andando a pezzi, sia nelle aree controllate dagli Houti che dalle forze governative con l’appoggio della coalizione guidata dall’Arabia Saudita. Ogni giorno siamo presi di mira. Questo è pericoloso. Perché la società civile è l’unico spazio civico. Se lo perdiamo, non sapremo più nulla dello Yemen.
Come si vive nella quotidianità? Come si sopravvive a questa guerra che dura dal 2015 e che ha provocato un disastro umanitario…
La situazione in Yemen è sempre molto difficile. Siamo tutti salvi per caso, non perché siamo protetti. Qualsiasi yemenita si aspetta che accada qualcosa a se o alla sua famiglia. La vita quotidiana è una battaglia per la sopravvivenza. Però è una battaglia solo per chi ha i soldi per comprare il cibo. Chi non ne ha, sta semplicemente morendo.
Non ci immaginiamo nemmeno la catastrofe umanitaria. Ci può spiegare cosa significa, soprattutto per chi non ha la risorse per comprare il cibo?
Malgrado le orribili violazioni compiute da tutte le parti in conflitto, la fame è la conseguenza peggiore. Gli yemeniti non soffrono la fame da soli. Ma qualcuno vuole che la soffrano. È diventata un’arma di guerra. Ed è stata la fame a spezzare le ossa degli yemeniti. Certo, abbiamo subito orrendi attacchi aerei, detenzioni, torture…tutto questo è terribile. Ma in cima a tutto ciò c’è la fame. Ma non è un disastro naturale. La gente soffre per l’atteggiamento delle parti in guerra.
L'assistenza umanitaria arriva a destinazione? Può bastare?
Nel 2018, 22 milioni di persone avevano bisogno di assistenza umanitaria in Yemen, quest’anno le stime sono 24 milioni. Non si può sfamare un intero paese. Persino le organizzazioni umanitarie dicono che non sono in grado di fronteggiare la fame. La soluzione è fermare la guerra. E non invece continuare a sostenere le parti in conflitto e poi garantire un po’ di assistenza umanitaria alla popolazione. Certo, è importante per milioni di yemeniti nell’emergenza. Ma non è la soluzione.
Lei è una nota attivista per i diritti umani. Da quando ha lasciato lo Yemen e perché?
Sono assente dallo Yemen dal giugno 2018. Sono stata detenuta due volte con i miei colleghi e mio marito. La prima volta in un check-point delle forze governative. E poi in un aeroporto gestito dalla coalizione guidata dai sauditi. Siamo stati rilasciati grazie alle forti pressioni. Visto che svolgo molta attività di sensibilizzazione al di fuori dello Yemen, ho deciso di lasciare il paese perché è difficile fare avanti e indietro. Per un po’ di tempo vivrò solo con la mia valigia. Ma presto tornerò, certo, tornerò. Ho un gruppo di 70 collaboratori. Copriamo tutto lo Yemen e lavoriamo in 20 governatorati su 22.
Lei è spesso stata molto critica sia verso gli Stati Uniti che i paesi europei. Perché?
Si, perché invece di svolgere un ruolo positivo per porre fine alla guerra in Yemen, la alimentano vendendo armi alle parti in causa. E a volte, come gli Stati Uniti, sostenendo ciecamente l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi. È davvero triste. È un disastro militare. Gli europei e gli americani hanno la capacità di fermare la guerra, Ma invece ha deciso di continuare ad alimentarla.
Ha parlato del ruolo degli Stati Uniti e dei paesi europei. La Svizzera, impegnata sul fronte umanitario, può contribuire a mettere fine alla guerra in Yemen?
La Svizzera e altri paesi europei possono svolgere un ruolo importante. Perché nella nostra regione godono ancora di una reputazione migliore di quella di Gran Bretagna e Stati Uniti. Ma non capisco perché non credano in loro stessi e non sappiano quanto potere possono esercitare nel processo di pace e persino nel mettere fine alle violazioni e alla guerra in Yemen. Anche la Svizzera può fare molto.
Emiliano Bos