Nel mondo ci sono 56 guerre, piccole e grandi, ma pur sempre guerre. Il numero più alto dalla fine del secondo conflitto mondiale. Fra i compiti dell’informazione c’è il racconto delle guerre, del perché scoppiano, dei drammi collettivi e personali che portano con sé, della spesso difficile strada che porta verso la pace. Lunedì sera Reto Ceschi, a 60 minuti, ha intervistato Flavio Del Ponte, chirurgo che le guerre le ha viste da vicino, che dentro le guerre ha lavorato per ridare speranza a chi, a volte, non ha più il diritto di averne. Del Ponte ha appena scritto un libro: “Dissonanze. Storie di un chirurgo di guerra”, Armando Dadò Editore, dove ha raccolto un pezzo della sua vita.
“Noi non siamo eroi, siamo forse dei bravi funzionari, dei bravi medici, che vanno a cercare di fare qualcosa di utile ma siamo aiutati nel migliore dei modi - spiega Del Ponte -. Per questo aiuto umanitario, in genere anche per quello che viene fatto, ci vogliono dei fondi. E sentire oggi, non vado nel dettaglio, che la Svizzera vuole tagliare dei fondi per l’aiuto umanitario, per me è un non senso, una cosa inumana. Soprattutto se viene da parte della nostra Svizzera, che ha dato i natali alla Croce Rossa. Ma come si può? Come si può, oggi, venire a farsi anche solo la domanda: “Dobbiamo fare aiuto umanitario? Dobbiamo continuare a spendere soldi per questo aiuto umanitario? Io non seguo”.
Nel contesto in cui viviamo, di fronte a tutto quello che accade nel mondo, in particolare rispetto ai conflitti, la domanda che ogni tanto ci poniamo è: possiamo ancora coltivare la speranza?
“La speranza l’ho lasciata alla fine del libro.... Credo che il dialogo (che non è solo il dialogo del politico, che va sul posto, sul fronte, fa una dichiarazione, poi 10 minuti dopo se ne torna), il dialogo che l’operatore sanitario, l’operatore umanitario, instaura sul posto con le vittime, con chi cura, è qualcosa di molto positivo. E tantissime volte ho sentito che i beneficiari della nostra presenza ci dicono: “voi non sapete quanto ci aiutate, anche se non potete fare gran cosa. Per noi è essenziale sapere che il mondo è con noi e capisce che stiamo soffrendo”.
Concludo con due citazioni. Una la si trova nel suo libro, è di Albert Einstein: “La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire” E poi aggiungo quella di Gino Strada che diceva semplicemente: “La guerra fa schifo”...
“... quanti ne ho incontrati di Gino Strada sul mio percorso; e nessuno si è sentito un eroe ma tutti hanno dato quello che hanno potuto. Importante è che si mantenga la memoria viva e si faccia qualcosa per migliorare. Non è nelle nostre possibilità di far smettere le guerre. Saremmo tutti d’accordo, però dando la speranza, veramente, con qualcosa di concreto... questo è importante. Mi ero fatto proprio oggi un ultimo appunto: davanti al dolore si ricomincia a ragionare. Proprio toccando il dolore si comincia a ragionare. E dunque si deve anche operare questo contatto diretto con un dialogo anche tra le parti avverse. Dunque sul posto il dialogo rimane la chiave, secondo me, dove bisogna accedere, con la quale si può accedere a qualcosa di nuovo”.
Guarda l’intervista completa nel video in testa all’articolo.