L'Ucraina la invoca, la NATO la respinge, mentre la Russia mette in guardia dalle conseguenze che innescherebbe: è la tanto discussa no-fly zone, ossia l'ipotesi di una zona d'interdizione al volo monitorata militarmente e preclusa a tutti gli aerei non autorizzati a transitarvi.
Una misura che, al di là del dibattito sulla sua effettiva praticabilità in Ucraina, riporta la memoria a quanto avvenne nel 2011 e più precisamente all'insurrezione in Libia contro il regime di Muammar Gheddafi: l'approvazione di una no-fly zone da parte del Consiglio di sicurezza dell'ONU (era il 19 marzo di 11 anni fa) spianò di fatto la strada all'intervento internazionale a sostegno degli insorti. Per la coalizione capeggiata da Stati Uniti, Francia e Regno Unito si trattava, in buona sostanza, di neutralizzare le forze aeree al comando del dittatore, accusato nelle circostanze dell'epoca di ricorrere anche ai velivoli militari pur di schiacciare i ribelli. Dopo il via libera alla risoluzione delle Nazioni Unite, e la violazione da parte del regime del cessate il fuoco imposto dalla medesima, aerei della coalizione effettuarono ricognizioni dello spazio aereo libico ed entrarono in azione, colpendo obiettivi militari dei lealisti. La no-fly zone nei cieli libici fu quindi una misura di portata decisiva per la protezione della popolazione e lo sviluppo degli eventi destinati a sfociare nel tracollo del regime e, 7 mesi più tardi, nell'uccisione di Gheddafi.
Caccia britannici, ripresi durante una manovra di rifornimento in volo, prima del loro ingaggio nel marzo del 2011 per l'applicazione della no-fly zone in Libia
Fin qui, l'applicazione storicamente più recente. Ma alcuni precedenti di peso risalgono all'ultimo decennio dello scorso secolo. Fu attraverso l'imposizione di zone d'interdizione al volo nel nord e nel sud dell'Iraq, fra il 1991 e nel 1992, che venne sventata, dopo la prima guerra del Golfo, l'eventualità di attacchi di rappresaglia contro le popolazioni curda e sciita da parte delle forze di Saddam Hussein. Quindi, nel 1993, con l'operazione "Deny Flight" (testualmente, "negare il volo") la NATO instaurò, dando seguito ad una risoluzione dell'ONU, una no-fly zone estesa a tutto lo spazio aereo della Bosnia-Erzegovina insanguinata dalla guerra.
No-fly zone sull'Ucraina? Il commento dell'esperto
Telegiornale 02.03.2022, 21:00
Intanto in Ucraina i bombardamenti continuano a imperversare e con conseguenze fra le più drammatiche per la popolazione. Ma perché l'applicazione di una no-fly zone, almeno allo stato attuale delle cose, non è davvero plausibile? Sulla scorta dei precedenti storici si evince che una zona d'interdizione al volo implica presupposti molto precisi. Anzitutto un solido consenso sovranazionale, suggellato a livello di Nazioni Unite. E poi, ovviamente, l'effettiva determinazione da parte degli attori in campo a far rispettare il divieto; all'occorrenza anche col ricorso alla forza.
Edifici in fiamme, a Mariupol, dopo un bombardamento sferrato dalle forze russe
Tali presupposti sono in questo caso del tutto mancanti. In sede ONU, l'Assemblea generale ha in effetti plebiscitato una mozione di condanna della Russia che però, al di là di un chiaro significato politico, non ha alcun effetto vincolante. Quanto al Consiglio di sicurezza, tutti i tentativi di adottare una risoluzione non possono che infrangersi contro l'ovvio veto della Russia, iniziatrice dell'offensiva ma anche membro permanente dell'organo esecutivo delle Nazioni Unite. Ma a prescindere dai problemi di legalità internazionale, è lo scenario di un conflitto aperto fra Russia e Occidente a precludere definitivamente questa via: l'instaurazione di una no-fly zone, infatti, imporrebbe alla NATO di intervenire militarmente nello spazio aereo di un Paese che non è membro dell'Alleanza, esponendosi inevitabilmente al rischio di uno scontro diretto con i velivoli russi. E le conseguenze, con una NATO già accusata a più riprese dalla Russia di voler estendere la sua presenza nel suo "cortile di casa", potrebbero essere fra le più pericolose e incontrollabili. Per queste ragioni l'Alleanza atlantica non può che tenersi ai margini del conflitto, limitandosi, almeno per ora, a rafforzare il proprio dispositivo nei Paesi membri dell'area che più avvertono la minaccia rappresentata da Mosca.
Alex Ricordi