Il suo fisico è robusto e stabile, con il baricentro basso, nonostante le cicatrici e le ferite fresche che la guerra gli ha lasciato addosso. Ha la carnagione olivastra ed un’espressione seria che guarda dritto negli occhi chi ha di fronte, porgendo la mano sinistra in segno di saluto. Quella destra è avvolta in un tutore che tiene insieme il braccio fatto a pezzi dai bombardamenti. Wael al-Dahdouh è un giornalista palestinese, corrispondente del canale al-Jazeera dentro la Striscia di Gaza, dove è nato e dove tutt’ora vive. È diventato noto al grande pubblico internazionale quando, durante una diretta televisiva alla fine del 2023, venne raggiunto dalla notizia della decimazione della sua famiglia sotto i missili israeliani. A partire dal 7 ottobre di quell’anno ha perso la maggior parte dei suoi famigliari: prima è toccato alla moglie, alla figlia di sette anni e al figlio quindicenne, uccisi da un attacco aereo insieme a otto loro parenti. Un altro figlio, a sua volta giornalista, e due nipoti sono morti sotto le bombe. “Quando l’ho saputo sono corso a casa loro, che era completamente sbriciolata” racconta. “Ho iniziato a scavare tra le macerie finché non ho trovato i resti di Adam, uno dei miei nipoti. Aveva un anno e mezzo”. Mentre ne parla ha la voce sempre ferma e il solito sguardo di pietra. Una durezza che esprime dolore.
Noi non siamo una delle parti in guerra, siamo professionisti
Wael al-Dahdouh, giornalista palestinese
Oggi al-Dahdouh si trova in Europa, alla ricerca di cure per medicare le ferite. Con i giornalisti è schivo, e preferisce non rilasciare interviste se non in occasione di una conferenza stampa che ha tenuto alla Camera dei deputati del parlamento italiano a Roma. Lo si può però incontrare nel centro di Milano e chiacchierare con lui mentre passeggia con altri palestinesi residenti nel Nord Italia. Il braccio ferito è sempre immobilizzato dal tutore. È così da quando “sono sopravvissuto per miracolo”, dice, all’ennesima raffica di bombe che ha subito mentre lavorava. In quell’occasione rimasero uccisi il suo collega Samer Abu Daqqa e altri tre uomini del pronto soccorso.
Poche guerre hanno fatto tante vittime tra i giornalisti come quella di Gaza. Dal sette ottobre 2023 fino al raggiungimento del cessate il fuoco ne sono stati uccisi oltre 200, quasi tutti palestinesi residenti in loco e corrispondenti di canali arabi. Ammassati nell’esiguo spazio dentro la Striscia e impossibilitati a scappare, hanno subito lo stesso tragico destino della popolazione civile. Molti di loro hanno subito forti critiche da parte delle autorità israeliane, che li accusano di essere compromessi con Hamas e di non garantire un’informazione indipendente. Accusa che al-Dahdouh rifiuta con forza, precisando di non essere il portavoce di Hamas: “Noi non siamo una delle parti in guerra, siamo professionisti e siamo protetti dalle leggi internazionali” dice. “Ci muovevamo con cautela, utilizzando tutti i dispositivi di sicurezza: giubbotti antiproiettile, caschi, la scritta “Press” sui veicoli. Spesso avevamo il permesso dell’esercito israeliano per transitare con le telecamere, ma è stato inutile”.
La Striscia resta un territorio inesplorato dai media
L’accesso della stampa internazionale dentro la Striscia è tutt’ora proibito dall’esercito israeliano che ne controlla il perimetro e che, negli scorsi mesi, hanno permesso l’ingresso solo ad alcuni giornalisti accompagnati dalle loro truppe, cosa che inevitabilmente limita i contatti con la popolazione locale. Le cui condizioni, racconta al-Dahdouh, restano oggi difficilissime nonostante il cessate il fuoco. “In queste ore la gente sta tornando a casa dopo essere stata sfollata per mesi. Ma una volta arrivata scopre che la casa non esiste più. Ci sono solo macerie”. Continuano a scarseggiare cibo, medicinali e beni di prima necessità. “I palestinesi non potranno dimenticare quello che hanno subito” commenta categorico.
Anche se per adesso si è smesso di parare, le memorie delle carneficine e la miseria indotta dalla guerra permarranno a lungo, probabilmente per molte generazioni. Altrettanto a lungo sarà difficile parlare di pace. Nel frattempo la Striscia resta in territorio inesplorato dalla stampa non palestinese.
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Falò 04.02.2025, 21:20
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