Analisi

Ucraina: dialogo tra USA e Russia? La Cina non sta a guardare

Sui media statali già si parla di “ritiro americano dal conflitto”, con l’Ucraina, “istigata” da Washington e NATO, costretta a pagare il prezzo della guerra e poi abbandonata

  • Ieri, 05:55
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Xi Jinping

  • Keystone
Di: Lorenzo Lamperti (da Taiwan) 

Niente ingresso nella NATO, niente accordo di mutua difesa, niente ritorno in controllo di Crimea e Donbass. Le condizioni su cui ci si avvicina a un potenziale negoziato di pace tra Ucraina e Russia sono vicine alle richieste del presidente russo Vladimir Putin all’inizio della guerra. Condizioni a cui potrebbe ora aderire il suo omologo statunitense Donald Trump. Le considerazioni della Cina sulla riapertura del dialogo tra Washington e Mosca partono da questa osservazione. Un aspetto positivo per Pechino, la cui priorità è sempre stata la stabilità della Russia, partner ma anche vicino di casa le cui sorti possono influire sulla situazione interna del gigante asiatico.

Ufficialmente, la Cina si dice “felice di vedere la Russia e gli Stati Uniti rafforzare la comunicazione su una serie di questioni internazionali”, come da ripetute dichiarazioni del portavoce del ministero degli Esteri in conferenza stampa. “La Cina ha sempre creduto che il dialogo e i negoziati siano l’unica strada percorribile per risolvere la crisi e ha sempre insistito sulla promozione della pace e del dialogo. Continueremo a mantenere la comunicazione con le parti interessate e a svolgere un ruolo costruttivo nella promozione di una soluzione politica alla crisi”, ha spiegato Guo Jiakun.

Al di là delle dichiarazioni ufficiali, la questione ucraina potrebbe effettivamente diventare uno dei pochi dossier di cooperazione sino-americana. O almeno a questo potrebbe mirare il governo cinese, che secondo il Wall Street Journal avrebbe persino avanzato la proposta di organizzare un vertice tra Putin e Trump. Ipotesi non confermata e di complicata realizzazione ma la sensazione è che il presidente della Cina, Xi Jinping, possa puntare a ritagliarsi un ruolo in questo processo di potenziale disgelo. Le ragioni sono diverse. Primo: la volontà di far pesare l’eventuale mediazione nelle trattative sui dazi. Secondo: la possibilità di mostrarsi al mondo come “potenza responsabile”, in grado di dialogare con tutti. Terzo: evitare di finire ai margini di una dinamica con cui gli osservatori cinesi più pessimisti temono che Trump possa provare a migliorare i rapporti con la Russia per allontanarla dalla Cina. Un po’ come avevano intuito di dover fare ma all’inverso, negli anni Settanta Richard Nixon ed Henry Kissinger per allontanare Pechino dall’Unione Sovietica.

In realtà, secondo la maggior parte degli esperti quest’ultima ipotesi è di difficile realizzazione. Il legame tra Cina e Russia si è parecchio approfondito negli ultimi anni. Al di là delle considerazioni sulle rispettive visioni di mondo, che nonostante la forte retorica anti NATO e anti occidentale mantengono differenze non banali, Pechino e Mosca sanno di non avere garanzie sull’orizzonte temporale degli eventuali impegni presi dall’imprevedibile Trump. Il loro rapporto sembra dunque al momento assai complicato da scalfire, anche se senz’altro le manovre della Casa Bianca verranno implicitamente utilizzate in un’amicizia che nonostante gli slogan ha già mostrato di avere dei limiti. Anche per questo, ci si possono aspettare nei prossimi mesi maggiori dimostrazioni di vicinanza al Cremlino da parte cinese, rispetto agli equilibrismi degli scorsi anni. Non a caso, Xi ha già confermato la sua presenza a Mosca per la Giornata della Vittoria di maggio, mentre Putin dovrebbe contraccambiare visitando la Cina per l’ottantesimo anniversario della vittoria contro il Giappone.

A Pechino non hanno però accolto con favore le recenti dichiarazioni del segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth, il quale ha chiarito che la tutela della sicurezza dell’Ucraina post bellica spetta soprattutto all’Europa, con gli USA desiderosi di dare “priorità alla deterrenza dalla guerra con la Cina nel Pacifico”. L’approccio transazionale di Trump continua però a far sperare la Cina in un indebolimento delle alleanze statunitensi in Asia. E qualche segnale in tal senso sta già arrivando da Taiwan, Corea del Sud e persino Giappone, dove nei prossimi mesi potrebbe recarsi Xi in una storica prima visita di Stato.

La sensazione è che la fine della guerra in Ucraina avrebbe più vantaggi che svantaggi, per la Cina. Quello più immediato riguarderebbe i rapporti con l’Europa. Negli scorsi anni, la cosiddetta “neutralità filorussa” di Pechino ha disturbato molto l’Occidente, ostacolando il dialogo a livello bilaterale con i singoli Paesi e soprattutto con l’Unione Europea. La conclusione del conflitto consentirebbe di riavviare le relazioni, in un momento in cui la Cina sente di avere un vantaggio strategico da giocarsi, viste le tensioni commerciali tra Europa e Stati Uniti. Allo stesso modo, sarebbe scrutinata in modo meno pervasivo la relazione con la Russia.

C’è poi un non trascurabile aspetto politico-retorico. Arrivare alla pace nelle modalità di cui si parla potrebbe aiutare la Cina a sostenere che la sua posizione originaria era la più ragionevole e se, applicata prima, avrebbe evitato anni di guerra e migliaia di morti. Non solo. La fine del conflitto e il mantenimento dei territori conquistati da parte della Russia rappresenterebbero un precedente importante da sbandierare all’Occidente, per mostrare che le sanzioni non bastano per mettere in ginocchio un Paese rivale. Di più. Una pace ottenuta con concessioni significative a favore della Russia consentirebbe alla Cina di presentare come “inaffidabili” gli Stati Uniti presso i loro alleati. Non a caso, sui media statali già in questi giorni si parla di “ritiro americano dal conflitto”, con l’Ucraina “istigata” da Washington e NATO costretta a pagare il prezzo della guerra e poi abbandonata quando aveva più bisogno. Un tipo di narrativa che ha una certa presa in luoghi coinvolti in dispute territoriali con Pechino, a partire da Taiwan. E ancora: a occhi cinesi, unire la fine della guerra in Ucraina alle posizioni di Trump su Panama, Groenlandia e Golfo del Messico sembra in qualche modo giustificare qualsiasi necessità di sicurezza nazionale di una grande potenza, anche quando queste vanno a discapito dei vicini.

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