“Se non ci sarà campagna, la legittimità del vincitore sarà in discussione”, ha detto il presidente del Senato francese, Gérard Larcher. Il suo era un tentativo di far decollare un dibattito elettorale che non ha mai preso davvero il volo in questa strana campagna 2022.
La gestione della crisi Covid, prima, e quella della guerra in Ucraina, dopo, hanno dato al presidente un’ottima scusa per ritardare la sua candidatura - doveva ufficialmente gestire cose più importanti -, ma in questo modo la corsa alla più alta carica dello Stato non è sembrata nemmeno parente di quelle che l’hanno preceduta.
A fine 2021 è stata la teoria cospirativa del Grand remplacement a tenere banco, spinta dall’ossessione identitaria del giornalista di estrema destra Éric Zemmour, che vede l’immigrazione africana mirata a sostituire la popolazione bianca e cristiana francese.
In questo fine campagna, invece, è arrivato il potere d’acquisto a far parlare di sé, ma senza scatenare grandi discussioni, se non una serie di proposte da parte di tutti i candidati, niente da provocare uno scandalo. Il vero assente è stato infatti il dibattito democratico, tanto tra i candidati come tra i cittadini: non si era mai visto un popolo così politico come i francesi parlare talmente poco dell’unica elezione che ha sempre mosso tutti gli animi.
I giovani potrebbero astenersi in massa, fino al 45%, dicono i sondaggi, e in generale si potrebbe sfiorare un 30% di elettori rimasti a casa. All’eccitazione o anche alla collera di altre elezioni, sembra essersi sostituita la stanchezza e la diffidenza verso la politica.
Un sintomo pericoloso, perché la Francia non si gioca poco con questo comizio, nel quale la scelta sembra polarizzarsi tra il presidente uscente Emmanuel Macron (26% intenzioni voto) e la sua già rivale Marine Le Pen (24%).
Macron è il più chiaramente pro-europeo, ha gestito relativamente bene la crisi sanitaria lanciando il suo “whatever it costs” (con relativo debito schizzato al 113% del PIL) e può vantare di aver fatto aumentare il potere acquisitivo di praticamente tutti i francesi. Non è riuscito però in questi anni a togliersi l’etichetta di presidente dei ricchi e si è arroccato all’Eliseo, incarnando una funzione pubblica tecnocratica e distante.
Di fronte a lui Marine Le Pen ha invece smussato gli angoli, non vuole più uscire dall’euro, crede che l’Islam sia compatibile con la Francia (lotta contro l’islamismo), ha passato la campagna a postare foto dei suoi gatti e a spiegare che vive con Ingrid, la sua “migliore amica d’infanzia” in una casa appena fuori Parigi. Ma guardando il suo programma vorrebbe cambiare la Costituzione per designare due tipi di cittadini, i francesi e i non francesi, con diversi diritti, lo farebbe evitando il controllo del Consiglio costituzionale per far quindi saltare un pilastro della costituzione, l’égalité.
Per la prima volta i sondaggi danno i due candidati a meno di 4 punti percentuali al secondo turno. Di che far forse attirare l’interesse su una votazione fino ad ora passata in secondo piano.