L’irruzione della guardia civile spagnola in alcune sedi del Governo catalano ha segnato, con tutta probabilità, un punto di non ritorno nel conflitto istituzionale che attanaglia Barcellona e Madrid. Le perquisizioni, il sequestro di materiale relazionato con l’organizzazione del referendum e gli arresti di 14 funzionari, tra cui Josep Maria Jové, potente braccio destro del vicepresidente catalano Junqueras, hanno spinto migliaia di persone a scendere in piazza in difesa della madre patria Catalogna.
Si è cristallizzata nella mente degli indipendentisti, in molti hanno abbandonato il proprio posto di lavoro per andare a manifestare, l’immagine di un Governo spagnolo usurpatore dell’autonomia catalana, fedele riproduzione delle truppe franchiste in marcia su Barcellona durante la Guerra Civile. Un sentimento esternato a gran voce, facendo risuonare le note di “Els Segadors”, inno nazionale della Catalogna, ed invitando la polizia spagnola ad andare via.
Le principali associazioni indipendentiste, Ómnium Cultural e l’Assemblea Nazionale Catalana, hanno chiamato la popolazione alla mobilitazione perenne contro Madrid, un invito che si è tradotto in una lunga sequenza di eventi, dibattiti e manifestazioni di piazza, tutte rivolte a difendere, in primis, il diritto dei catalani a votare il 1 ottobre.
Sul versante politico, il premier Mariano Rajoy ha ribadito che la consultazione popolare non si celebrerà, facendo leva sull’illegittimità del referendum sancita dalla sentenza del Tribunale Costituzionale, che ha annullato la legge del referendum promulgata ad inizio settembre dal Parlamento catalano.
Il Governo centrale ha costituito un corpo di polizia ad hoc per gestire la sicurezza nelle giornate del referendum, formato dalla guardia civile e dalla polizia spagnola, insieme a quella catalana. Quest’ultima, attraverso le parole del comandante Josep Lluís Trapero, ha però confermato di non volerne far parte, aprendo un nuovo, delicatissimo, fronte di tensione con Madrid.
Mario Magarò