CONFLITTO A GAZA

“È una guerra che non ha scelto Israele di combattere”

Le considerazioni dell’ambasciatrice israeliana in Svizzera, Ifat Reshef, invitata a Lugano dall’Associazione Svizzera-Israele

  • 30 gennaio, 16:29
  • 30 gennaio, 17:05

Incontro con l'ambasciatrice israeliana in Svizzera

Telegiornale 29.01.2024, 20:00

Di: Telegiornale-Bettina Müller/RSI Info

“Come sapete, questa è una guerra che Israele non ha scelto di combattere, ci è stata imposta con il brutale massacro del 7 ottobre. E la combattiamo per eliminare la minaccia rappresentata da Hamas e dai suoi collaboratori”. Lo ha detto ai microfoni della RSI Ifat Reshef l’ambasciatrice israeliana nella Confederazione, invitata a Lugano dall’Associazione Svizzera-Israele. “Sapevamo fin dall’inizio che non sarebbe stato facile né breve”, prosegue. “Hamas ha avuto più di un anno per prepararsi a questa guerra che ci ha colti di sorpresa. Quindi, ovviamente, sono ben preparati e sapevano che saremmo andarti a cercarli, perché nessun Paese può sottrarsi all’obbligo di difendere i propri cittadini, di ricostruire le comunità che sono state sconvolte dall’attacco. E quindi si sono preparati, sia in superficie che nel sottosuolo, che come sapete è un’enorme rete di tunnel dove stanno immagazzinando le munizioni, dove tengono gli ostaggi, dove si nascondono, loro e i loro vertici. Ma abbiamo ottenuto risultati significativi, molti militanti sono stati uccisi o arrestati, e gran parte del comando di Hamas, almeno nel nord di Gaza, è ora distrutto. Ma non ci facciamo illusioni. È una guerra molto difficile e impegnativa, che siamo costretti a combattere”.

Molti analisti pensano che l’obbiettivo di sradicare Hamas non sia raggiungibile. Che ne pensa?

“È difficile da definire. Cosa significa distruggere completamente Hamas? Vorremmo che il loro Governo - a Gaza - fosse rovesciato, e che dopo la guerra non fosse più in grado di governare. E questo non solo per la sicurezza dei bambini israeliani, ma anche per garantire una prospettiva futura ai bambini di Gaza. Vorremmo che Hamas fosse privata della capacità militare che ha permesso il massacro del 7 ottobre. Siamo in grado di catturare ogni suo singolo membro? Probabilmente no. Ma se riuscissimo a disarmarla sarebbe un grando risultato, per noi ma proteggerebbe dalla minaccia di Hamas anche il resto del Medio Oriente e l’Europa”.

Il modo con cui è stata condotta questa guerra, anche secondo molti israeliani, con oltre 20’000 vittime civili, non sarà qualcosa che porterà pace a Israele ma solo più violenza...

“Innanzitutto dobbiamo essere cauti riportando i dati forniti dal cosiddetto Ministero della salute di Hamas. I numeri esatti non si conoscono. È una zona di guerra, difficile da controllare. Ma ovviamente non nego che a Gaza ci siano enormi sofferenze, il che è molto triste. A livello personale, posso dire che il mio cuore va a tutte le persone innocenti, non ultimi i bambini, che vengono colpiti dalla guerra. Ma bisogna ricordare che è stata Hamas a scatenare questa guerra, non Israele. La stessa organizzazione terroristica che non fa nulla per proteggere i suoi cittadini. Quando chiediamo ai civili palestinesi di allontanarsi dalle zone dove si intensificheranno i combattimenti, Hamas li invita a ignorare l’avvertimento. Questo naturalmente amplifica la dimensione dei danni e delle vittime”.

Per il momento non c’è un consenso su ciò che dovrebbe avvenire a Gaza dopo la fine della guerra. Lei come la vede?

“È una domanda enorme, alla quale non ci siamo preparati perché non eravamo preparati al 7 ottobre. Tutto dipenderà dalle circostanze in cui i combattimenti cesseranno. Di certo abbiamo due obiettivi: smilitarizzare la striscia e poi - non meno importante - contrastare la radicalizzazione dei giovani palestinesi”.

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