Svizzera

“Non aspettatevi che mi ritiri in un convento”

La sua politica, cosa si rimprovera, il rapporto con i media e la street parade: intervista RSI ad Alain Berset a poche settimane dalla sua partenza dal Consiglio federale

  • 4 novembre 2023, 06:48
  • 12 dicembre 2023, 07:31
09:10

SEIDISERA del 03.11.2023: Alain Berset intervistato da Gian Paolo Driussi

RSI Info 04.12.2023, 10:55

  • Keystone
Di: RG-Driussi 

Un Alain Berset come non siamo abituati a sentire: la sua lunga e vivace carriera politica, quello che si rimprovera, noi media - a suo dire - un po’ superficiali, i suoi voli privati e la partecipazione alla Street Parade.

Sono solo alcuni aspetti del Berset uomo, prima ancora che politico, che emergono dall’intervista concessa al nostro corrispondente da Palazzo federale Gian Paolo Driussi, a poche settimane dalla sua partenza dal Consiglio federale.

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Alain Berset

  • archivio keystone

Politico comunale e cantonale per qualche anno, poi 20 anni di politica federale, di cui 12 in Governo. Come è cambiata la politica in tutti questi anni e come è cambiato lei?

La politica è certamente cambiata perché a cambiare è stata la società. Quando ho iniziato a far politica nemmeno Facebook esisteva ancora e i nuovi mezzi di comunicazione hanno cambiato radicalmente il dibattito pubblico. Tutto è diventato più difficile perché più veloce e con opinioni talmente forti da rendere ostico il compromesso (o anche solo la discussione con chi la pensa diversamente). È una grande sfida per la democrazia diretta. La politica mi ha cambiato? Se guardo nel mio profondo la risposta è: NO. Sono lo stesso di 20 anni fa, con 20 anni di più. Sono riuscito a preservare le cerchie più intime (famiglia e amici), che mi han permesso di restare intatto. La politica porta poi esperienza ma anche, se penso alla pandemia, volume di lavoro inimmaginabile, pressioni enormi, minacce contro di me e la mia famiglia. E qui le devo dire che non se ne esce senza cicatrici.

Quindi è anche cambiato il suo modo di fare politica in questi anni?

Sì ci ho provato, anche se provengo da un mondo antico, in cui la politica metteva al centro i partner sociali per cercare appunto il compromesso. Si dibatteva e ci si batteva con idee diverse in sale con 300 persone. Tutt’altro rispetto al mondo delle reti sociali... o forse sarebbe meglio dire “a-sociali”, in cui non c’è più il contatto fisico, è possibile nascondersi dietro a uno schermo per dire cose orribili o più aggressive di quanto si farebbe di persona. È una dinamica che ho visto anche in Parlamento durante la pandemia. I plexiglas che dividevano i deputati avevano cambiato contenuti e toni delle discussioni. Una volta tolti, miracolo: si era tornati a dibattere in modo più civile. Mi ha ricordato che siamo animali sociali, che non siamo fatti per parlare con uno schermo che divide ma per incontrarci con rispetto.

Berset pilota, Berset su un carro della Street Parade... e poi le vicende private che hanno fatto i titoli di giornale. Sembra che il classico vestito da consigliere federale estremamente discreto le sia andato un po’ stretto. È così?

No, non si può dire questo. È invece vero che quando si fa politica, anche in governo, si è comunque delle persone reali. E devo dire che sono rimasto sorpreso da voi media. Avete per esempio dato maggior risalto al fatto che ogni tanto piloti un aereo privato, piuttosto che alle 29 votazioni popolari che ho dovuto gestire. O ancora: quest’anno ho viaggiato molto in zone di conflitto per sostenere i civili e la cosa non ha interessato quasi nessuno, mentre una foto delle mie vacanze, non rasato, ha generato ondate di commenti. Rispecchia un po’ il mondo che le dicevo prima: si vedono molte cose superficiali, dimenticando quelle di fondo. Sulla Street Parade: la mia partecipazione è stato un atto politico riflettuto. È l’evento culturale più grande d’Europa, c’è da 30 anni e non ha alcun riconoscimento pubblico nonostante la sua musica -la techno- sia nata con la caduta del muro di Berlino, all’alba di un nuovo mondo. Ho voluto esserci anche per vedere il dispositivo di sicurezza, quello anti-droga e ho voluto sostenere una manifestazione di pace e di incontro fra generazioni. Allora: mi va bene che abbia suscitato interesse; che sia passata in secondo piano rispetto all’impegno per il diritto umanitario, mi è dispiaciuto.

Lei ha detto che se c’è qualcosa che non le mancherà è dover annunciare gli aumenti dei premi di cassa malati. Pensa di aver fatto tutto il possibile per risolvere il problema dei costi della salute?

L’ho detto perché l’ho fatto per ben 12 volte... pur non essendo io a fissarli. Constato comunque che durante il mio mandato i premi sono aumentati meno rispetto ai 12 anni precedenti. Questo dimostra che qualcosa si può fare. Detto questo è dal 2018 che il Consiglio federale afferma di aver esaurito il margine di intervento di sua esclusiva competenza. Per andare oltre bisogna cambiare delle leggi e le proposte del governo non sono mancate. Tuttavia se ne è fatto ben poco, col Parlamento che ha respinto, annacquato o soppresso dei provvedimenti. E qualche anno più tardi è arrivata la fattura. Abbiamo dunque fatto quel che potevamo e non è abbastanza. Ho però anche rinunciato a soluzioni di comodo a scapito dei cittadini, per esempio rimborsando meno operazioni, riducendo le prestazioni o aumentando le franchigie, per salvaguardare il carattere solidale del nostro sistema. Certo così facendo avremmo abbassato i premi (non i costi) ma saremmo andati verso una privatizzazione dicendo a molti cittadini: ‘avete bisogno? arrangiatevi’.

Ci sono anche altri cantieri aperti che lascia al suo successore, come il finanziamento delle pensioni e la digitalizzazione nel settore sanitario. Ha qualche rammarico al riguardo?

Sì, parecchie cose. Sulle pensioni abbiamo fallito con la votazione del 2017. Me ne rammarico perché era davvero un buon progetto che avrebbe sistemato primo e secondo pilastro. Quel che è seguito ha permesso di stabilizzare l’AVS fino al 2030 e non è comunque poco. Ci vorranno altre riforme ma nel complesso non ho grandi rimpianti. Riguardo alla sanità lei ha toccato un punto molto importante: la digitalizzazione. Mi dispiace per come nel 2015 è stato lanciato il progetto della cartella elettronica del paziente. Eravamo in un altro mondo e lo abbiamo fatto molto alla svizzera: decentralizzazione, organizzazione capillare, libera scelta. Con la pandemia ci siamo resi conto che questo sistema non avrebbe funzionato. Oggi la coscienza del Paese è diversa e abbiamo colto l’occasione per riformare il progetto. Ma mi rimprovero di aver fatto troppi compromessi iniziali, tali da non poter andare avanti. Avremmo dovuto avere il coraggio di dire: è troppo, non facciamo nulla e aspettiamo.

Quando ha comunicato di voler lasciare il CF aveva dichiarato di non aver ancora riflettuto su cosa avrebbe fatto una volta ritiratosi. Nel frattempo ha pensato e deciso?

Poco prima e poco dopo la mia elezione in governo mi venne chiesto quanto sarei rimasto, nel timore che -avendo allora 39 anni- avrei mantenuto la carica per 30 anni. E ho sempre risposto: tra 8 e 12 anni, tempo sufficiente per fare quel che c’è da fare, oltre il quale bisogna davvero ritenersi indispensabili. Il mio orizzonte è dunque sempre stato chiaro. Ciò nonostante non ho ancora pensato al seguito perché è un lavoro che prende talmente tanto, da non permettermi di giocare su più tavoli. Ho sempre detto: darò tutto fino alla fine, poi spero di potermi riposarmi un po’ e solo in seguito rifletterò sul futuro.

La vedremo in qualche consiglio d’amministrazione, con seguente polemica di partiti e media? Sarà uno di quegli ex consiglieri federali che si ritirano nel silenzio o volentieri rilascerà qualche intervista, fra qualche anno?

La tradizione del silenzio è sempre meno rispettata dagli ex consiglieri federali. A me non dà fastidio e trovo anche legittimo che si esprimano su determinati temi. Sono persone che hanno un’enorme esperienza e che possono arricchire il dibattito. È chiaro: chi fa politica attiva vorrebbe che gli ex sparissero completamente. Perché non è comodo avere qualcuno che dall’esterno contesta o pone domande scomode. Non so come sarò io ma non aspettatevi che a 51 anni mi ritiri in un convento nel sud della Francia e che non si senta più parlare di me, vedremo. I consigli d’amministrazione? Ho certamente ancora voglia di lavoro, di incontri, di scambi intellettuali o politici in altri ambiti. Inoltre spero e penso di essere ancora utile in qualche attività. Quindi: lavorerò a fondo fino alla fine, darò tutto per il Paese, poi un po’ di riposo e poi si vedrà.

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