Ticino e Grigioni

Inquinanti eterni nelle acque, spunta anche il TFA

Ancora ignote le conseguenze sulla salute dell’acido trifluoroacetico - Il caso clorotalonil a Gudo - L’esperto: “Raramente chi viola la legge sulla protezione delle acque viene punito”

  • 24 ottobre, 21:48
  • 25 ottobre, 08:34
15:25

Inquinanti nelle acque, una presenza ancora tutta da approfondire

Il Quotidiano 24.10.2024, 19:00

Di: Servizio di Sharon Bernardi/Adattamento: RSI Info 

Si chiama TFA, acronimo di acido trifluoroacetico, è usato anche nella produzione di pesticidi e nei sistemi di refrigerazione. E’ l’ultimo arrivato tra i cosiddetti inquinanti eterni delle acque sotterranee. Le sue conseguenze sulla salute non sono ancora note ma c’é chi in Europa ha già introdotto valori soglia. Per dirla in parole semplici, appartiene alla grande famiglia delle PFAS (sostanze perfluoroalchiliche, composti chimici usati anche per rendere i prodotti impermeabili): il TFA è un derivato e si trova ovunque. La RSI ne ha parlato giovedì sera al Quotidiano con un esperto, Raffaele Domeniconi, coordinatore per la Svizzera italiana dell’Associazione svizzera dei professionisti della protezione delle acque.

Ci si sbaglia, dicendo che l’acqua potabile che scorre dai nostri rubinetti non è più solo H20?

L’acqua nei nostri rubinetti “non è mai stata H2O e basta - spiega Domeniconi. H2O è una molecola. L’acqua che scorre dai nostri rubinetti è una sostanza più complessa, ci sono tanti elementi che ci servono... E quella che abbiamo oggi, rispetto a ieri, quella che ho bevuto qui fuori, è l’acqua più sicura e più controllata che ho mai bevuto, perché da 30 anni il nostro settore (e tutto l’ambito normativo) sta lavorando per migliorare il sistema di controllo delle derrate alimentari; in particolare della nostra acqua e le prassi di produzione dell’acqua potabile sono in costante miglioramento”.

L’acqua è una derrata alimentare e in certi Paesi non la possiamo scegliere come. ad esempio, scegliamo una scatola di pelati al supermercato. Sappiamo quali sono gli ingredienti, ma non sappiamo quali sono i contaminanti, anche se sono presenti in quantità infinitesimali. Per esempio sull’etichettatura di Chiasso, sul Pozzo del Prà Tiro, che sappiamo avere avuto un problema con i PFOS, poi risolto, leggiamo correttamente che c’è una “filtrazione su carbone attivo”. Diversa la storia dell’etichettatura di Zurigo dove abbiamo contato centinaia di sostanze che vengono analizzate. E sul sito della città c’é perfino una cartina interattiva con dei parametri specifici, compreso il TFA, per il quale in Svizzera, lo ripetiamo, non ci sono divieti o soglie.  In tema di trasparenza lei vede uno spazio di miglioramento? 

“L’obbligo di informare è definito dalla legge in modo molto stringato, e quindi le aziende hanno ampio margine per scegliere la politica e i mezzi di informazione - spiega Domeniconi -. Noi come associazione spingiamo molto sulla trasparenza perché è la trasparenza che crea la fiducia. Il laboratorio di Zurigo è il nostro faro.. Ci sono sicuramente ancora aziende che forse non hanno ancora capito questo aspetto della trasparenza e che hanno un margine di miglioramento”.

LE CARATTERISTICHE DEL TFA

Il TFA è solubile, incolore e odora di aceto. Arriva nelle acque sotterranee attraverso la pioggia, come degradazione di pesticidi, refrigeranti o scarichi industriali. Nell’ultimo rapporto dei chimici svizzeri fa bella mostra di sé. La RSI ha chiesto a Nicola Forrer, direttore del Laboratorio cantonale, di spiegare le analisi fatte nel 2023 (su 24 campioni in Ticino, in 23 è stato trovato del TFA) e se questo deve preoccuparci. “No, non è preoccupante - risponde Forrre - in quanto il TFA è ubiquitario. Lo si trova praticamente ovunque nelle acque sotterranee. Non è strano trovarlo in così tante sorgenti. Per fortuna però i tenori sono molto bassi”, spiega.

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LA SVIZZERA E IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE

In Ticino la media è di 0,767 microgrammi per litro. La Germania (dove è stata studiata la fertilità nei conigli) ha già introdotto valori guida di 60 microgrammi per litro. La Svizzera invece attende, ma perché ? Lo abbiamo chiesto a chi, per 15 anni, ha avuto a che fare con gli inquinanti eterni: Marco Jermini, già direttore del Laboratorio cantonale dal 2004 al 2020, al quale chiediamo anche se la Svizzera fa un uso parco di quello che è il principio di precauzione. “Se non mi avesse fatto la domanda l’avrei provocata io - dice - L’uso è estremamente parco. Bisognerebbe approfittare di questo strumento, che di per sé è nato dalle grandi crisi degli anni ‘90-2000 (diossina, piuttosto che altre circostanze) quando il legislatore ha inteso inserire il principio di precauzione laddove le conoscenze scientifiche non sono ancora sufficienti per prendere una decisione definitiva”.

IL TFA E L’INDUSTRIA

Nonostante gli atti parlamentari e qualche inchiesta giornalistica, il TFA non era un acronimo conosciuto. A differenza dei PFAS: per 20 di loro nel 2026 verranno introdotti nuovi valori soglia. E l’industria si dovrà adeguare. “Ad esempio penso alle giacche impermeabili, tipicamente in Goretex, ad alcuni imballaggi alimentari... sono presenti ad esempio nei tappeti antimacchia o nei tessuti antimacchia, oppure erano (in passato, ora non più) utilizzati nelle schiume anti-incendio. Per queste applicazioni si stanno già cercando (e si sono già in parte trovate) sostanze alternative, spiega Forrer.

Il monitoraggio e il divieto di talune sostanze spesso sono concordati con l’Unione europea. Hanno i tempi della politica e dei ricorsi, come il caso Syngenta-Clorotalonil, finito a Losanna. E poi ci sono gli studi tossicologici. “Forse sarebbe opportuno accelerare questi processi, introducendo delle tecniche innovative, sulla base della computeristica, dell’intelligenza artificiale. Modellizzare molecole al computer e vedere quali possono essere gli effetti di queste molecole sul corpo umano, senza aspettare risultanze tossicologiche negative o positive”, osserva Jermini.

Parrebbe attualmente di poter dire che non si cerca e non si misura se la legge non lo prevede. Secondo Forrer “è però vero che è possibile anche a livello locale (svizzero ma anche ticinese) identificare dei rischi particolari e quindi monitorare delle sostanze non presenti nella legge”. “Ad esempio in Ticino, in conseguenza delle fioriture algali che abbiamo avuto nel Ceresio negli ultimi anni, abbiamo introdotto il monitoraggio delle tossine algali nell’acqua captata dal lago. Qui non c’è ancora un valore di legge per questo parametro ma noi, avendo identificato il rischio specifico, lo stiamo comunque monitorando”, afferma Forrer.

I FILTRI A CARBONE ATTIVO

Ripartendo dall’esempio fatto dal chimico cantonale ticinese, per quanto riguarda la captazione al lago, abbiamo chiesto a Domeniconi se possiamo ipotizzare di imporre dei filtri a carbone attivo per tutti. Costano troppo? Sarebbe una precauzione eccessiva? “Penso sia una precauzione eccessiva - risponde Domeniconi - intanto per una questione di costi. Noi possiamo fare tutto. Possiamo produrre acqua potabile artificiale, con l’osmosi inversa, aggiungendo poi sali minerali, ma dobbiamo capire se poi il consumatore è disposto a pagare un prezzo elevato per buttarla nello sciacquone e se è quello che vogliamo. Abbiamo in Svizzera la materia prima migliore di tutta Europa e quindi cerchiamo di usarla, di preservarla. Quindi il tema non è filtriamo gli inquinanti dopo (alla fine del percorso dell’acqua) ma cerchiamo di non metterli nell’ambiente”.

L’Ufficio federale dell’ambiente ci ha confermato che entro la fine dell’anno saranno disponibili i risultati di uno studio sul TFA nei laghi svizzeri, quelli ticinesi compresi. Per ora ci dobbiamo basare sui risultati dell’analisi dei chimici cantonali nel 2023: e per quanto riguarda il Ticino questo TFA è presente un po’ ovunque ma con valori minuscoli. Queste non sono le premesse, sulla base di queste risultanze scientifiche, per correre ai ripari? “Correre ai ripari si fa sempre dopo, quando i buoi sono fuori dalla stalla. Prima si inquina, si consuma, si produce e poi, quando arriva il problema, è sempre tardi. Certo che bisogna correre ai ripari, non staremo ad aspettare che ci siano dei valori limite”, dice Domeniconi.

Jermini parlava di un principio di precauzione un po’ parco... “Non è così parco, perché comunque l’ordinanza specifica per l’acqua potabile viene aggiornata ogni anno. E ogni anno ci sono nuove sostanze che entrano, che hanno dei valori limite. Sono comunque sostanze che, senza sminuirne il rischio, non hanno la stessa letalità, ad esempio, dei patogeni per i quali il rischio è immediato. Qui mi sento di dire che se anche uno beve l’acqua per 6 mesi, per 1 anno, per 2 anni non è questo il problema. È sulla durata della vita che la dose diventa rischiosa” spiega Domeniconi.

L’INQUINAMENTO A GUDO

Parliamo ora di un caso specifico di inquinamento, quello di Gudo, con Maurizio Barro, responsabile settore acqua potabile AMB. Una zona da tenere nel mirino? “Sì. Dobbiamo monitorare le acque in funzione dei potenziali pericoli, Il Clorotalonil è uno di questi”, spiega.

Erano state fatte analisi subito dal 2020. Mai trovato nulla e poi la brutta sorpresa...

“È stato così. Nel 2020, da quando è diventata una sostanza rilevante, abbiamo iniziato a monitorare le acque. Non l’avevamo mai trovata fino a ottobre del 2023, quando invece abbiamo rilevato le prime tracce”.

Questo pozzo fornisce acqua a tutto Gudo?

“Sì, a circa 800 abitanti”.

E da quando avete trovato il clorotalonil cosa è successo?

“L’abbiamo messo subito fuori esercizio e abbiamo aperto i collegamenti con il Comune di Cugnasco Gerra”.

E per quanto riguarda ora i controlli?

“Continuiamo a monitorare il clorotalonil. Ogni 2 settimane facciamo dei prelievi”.

Avete capito da dove arrivava l’inquinamento?

“Più o meno. Nel senso che conosciamo lo scorrimento della falda, quindi abbiamo eseguito prelievi del terreno, con l’autorizzazione dei proprietari, nei vigneti. Purtroppo non abbiamo trovato niente. A livello superficiale, nei primi 50 centimetri, non è stata riscontrata nessuna presenza”.

E poi ci si è messi a tavolino per capire perché il clorotalonil, prima non c’era e poi ha raggiunto un picco di 2,25 microgrammi al litro. Con un limite di 0,1.  Avete capito perché, a un certo momento, il clorotalonil lo avete riscontrato?

“Sì. Siamo riusciti a correlare la sua presenza con la quota della falda. A partire da settembre-ottobre 2023, a seguito delle forti precipitazioni, la falda è aumentata fino ad arrivare a una quota di 204 metri sul livello del mare. Quota che non aveva mai raggiunto nei 3 anni precedenti. Questo ci fa ipotizzare che il clorotalonil sia presente in una fascia di terreno a quella quota e quindi, quando l’acqua arriva a quel punto, dilava questa sostanza. Bisogna dire che l’acqua distribuita all’abitato di Gudo è sempre stata conforme, perché questo pozzo era fuori esercizio”.

Emerge chiaramente che un inquinamento da clorotalonil è per sempre. Sovente la Svizzera si appoggia all’UE per il monitoraggio e il divieto di talune sostanze. Ci siamo chiesti se queste procedure comunitarie hanno un rischio di rallentare un pochino questa procedura. Ecco cosa ci ha risposto l’Ufficio federale della sicurezza alimentare: “L’UE è il principale partner commerciale della Svizzera nel settore alimentare. (...) La cooperazione consente inoltre di sfruttare le sinergie, il che è vantaggioso per la Svizzera nel caso di valutazione del rischio che richiedono molte risorse”.

“Questa risposta - commenta Domeniconi - vale per le fragole e i peperoni. L’acqua potabile non la importiamo, e qui si potrebbe essere un po’ più agili per la parte normativa, per mettere limiti, per stabilire cosa fare. Chiaramente per tutto l’aspetto tossicologico è importante attingere a tutti gli studi che vengono fatti in tutto il mondo e unire le forze. È evidente”.

In Svizzera abbiamo una legge che si chiama “protezione delle acque”, eppure...?

“Eppure siamo nell’illegalità, perché chi viola questa legge raramente viene punito - dice Domeniconi -. Abbiamo visto anche i recenti casi in Ticino, si finisce sempre, nella migliore delle ipotesi con un “non luogo a procedere” e questo per me è abbastanza grave. Ed è la radice del problema. Le aziende dell’acqua potabile non sono delle aziende di risanamento ambientali, eppure si trovano spesso in difficoltà per fornire acqua conforme, perché dall’altra parte gli interessi economici dell’agricoltura, dell’industria farmaceutica, prevalgono sull’adempimento della legge e sull’esecuzione di queste leggi”.

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