Il Gran Consiglio ticinese che si insedierà il prossimo 2 maggio sarà più plurale, più urbano, più maschile e più anziano. O, in altri termini, quello in carica dal 2019 era un Parlamento meno frammentato, meno cittadino, più femminile e un po' più giovane. E ciò nonostante il fatto che 54 seggi saranno occupati esattamente dalle stesse persone elette nel 2019, con un tasso di ricambio generale del 40% (si spazia dallo 0% di cambiamento della deputazione PC-POP al 58,33% di quella del PS, con la Lega ad avere rinnovato meno la propria rappresentanza tra i partiti di Governo con 11 riconfermati).
I Comuni degli eletti
Il Quotidiano 04.04.2023, 19:00
L'analisi dei profili dei 90 eletti, oltre alla frammentazione partitica di cui si è già detto essendo la prima volta che le formazioni rappresentate sono ben 12, fa emergere un chiaro spostamento del baricentro del Parlamento verso i maggiori centri: le città di Lugano e Bellinzona. Da sole, hanno oltre un terzo dei deputati. Aggiungendoci anche gli eletti di Mendrisio (6) e di Locarno (5) si arriva a una chiara maggioranza urbana in Parlamento. In totale i domiciliati nei quattro poli regionali sono 47 su 90. A dividersi gli altri 43 posti in Parlamento sono altri 36 Comuni. Sette vantano 2 rappresentanti: Biasca, Chiasso, Faido, Massagno, Minusio, Monteceneri e Torricella-Taverne. Mentre altri 29 uno solo.
A non avere neppure un deputato a Palazzo sono ben 66 Comuni su 106, con intere regioni (più o meno periferiche) non rappresentate.
Il rafforzamento dei Comuni più grandi ha determinato una crescita del peso dei Distretti di Lugano e di Bellinzona avvenuta a scapito del Locarnese (sceso da 15 a 13 eletti), del Mendrisiotto (calato da 14 a 12) e della Valle di Blenio che, dopo aver visto la sua deputazione raggiungere 5 membri nel 2019, nella legislatura che sta per aprirsi potrà contare su soli tre rappresentanti.
La tendenza al rafforzamento del peso dei centri in Parlamento è in atto da tempo (ha subito un'accelerazione dopo le aggregazioni che hanno coinvolto Lugano, Bellinzona e Mendrisio). La sua conferma pertanto non rappresenta una sopresa. Così come non stupiscono né la progressiva frammentazione, né la perdita di consensi dei partiti di Governo. Meno attese erano invece due inversioni di tendenza rispetto al recente passato.
Meno donne in Gran Consiglio
Il Quotidiano 04.04.2023, 19:00
La questione femminile
La prima riguarda la questione femminile. Alle elezioni si presentava un numero senza precedenti di donne (367, pari al 40% dei candidati) ma ne sono state elette 29, 2 in meno del 2019. Nel Parlamento che sarà in carica fino al 2027 (al netto di avvicendamenti durante la legislatura) la componente femminile sarà inferiore al 33%. La crescita tendenziale si è quindi interrotta dopo quattro elezioni, ma la percentuale attuale resta più alta rispetto a quanto il Ticino ha visto, in particolare, nelle prime dieci elezioni dopo l'introduzione del suffragio femminile nel 1971. Per 40 anni il numero delle deputate in Gran Consiglio elette a inizio legislatura ha fluttuato tra un minimo di 9 (era il 1983) e un massimo di 13 (1991 e 1995). Poi sono salite a 13 nel 2011, a 22 nel 2015 e a 31 nel 2019, prima di ridiscendere alle attuali 29.
Il totale del numero delle donne elette nel Gran Consiglio ticinese dal 1971 ha superato quota 200.
A ridursi non è stato però solo il numero totale delle granconsigliere. È infatti calata anche la chance per le donne di essere elette. Nel 2019 avevano avuto quasi la stessa possibilità di entrare in Parlamento degli uomini (l’11,88% per le prime e il 12,47% per i secondi). Alle vigilia delle elezioni si pensava che il 2 aprile 2023 si sarebbe arrivati alla parità anche in questo campo. Invece la differenza è tornata a crescere. È stato eletto l'11,11% dei 549 maschi in lista (la quota più bassa di sempre a causa della moltiplicazione delle candidature). Mentre tra le femmine il tasso è tornato al 7,90% (29 su 367), un livello usuale un paio di decenni fa. Invece di scendere il divario è quindi salito da 0,6 a 3,2 punti percentuali.
Le questioni d'età
La seconda sorpresa riguarda l'invecchiamento del Parlamento. L'età media che nel 2019 era scesa a 46,7 (il valore più basso da diverso tempo), si è alzata a 47,5 anni. Si tratta del primo aumento dopo diverse elezioni durante le quali si era progressivamente ridotta (nel 2007 era di 48,4 anni). L'età mediana invece è calata di circa 6 mesi (45 deputati hanno più di 47,27 anni, mentre gli altri di più) ma non è la più bassa di sempre: nel 2007 era inferiore ai 46 anni.
L'aumento dell'età media si spiega soprattutto con il fatto che di 30enni in questo Gran Consiglio ne sono stati eletti solo 6, mentre nel 2019 erano 3 in più. Ma non solo. Sono aumentati anche gli eletti che hanno già superato l'età del pensionamento AVS: nel 2019 erano 8, mentre ora sono 9.
Restando alle questioni d'età, da notare anche che nel nuovo Parlamento tutti i deputati hanno tra un minimo di 22,03 (il socialista Yannick Demaria) e un massimo di 71,66 anni (il liberale-radicale Alessandro Cedraschi). Si tratta di una differenza di poco superiore ai 50 anni. In passato, invece, capitava che la differenza d'età tra il deputato decano e quello più giovane fosse vicina ai 60 anni. Nel 2007 Luciano Canal aveva 80,03 anni mentre Boris Bignasca 20,29. Nel 2011 Silvano Bergonzoli ne aveva 73,86, mentre Michelle Savoia 19,46.