Oliviero Toscani, il celebre fotografo e creativo, ci ha lasciati all’età di 82 anni, dopo una lunga malattia. Figura iconica nel mondo della comunicazione visiva, il suo nome è indissolubilmente legato a campagne pubblicitarie audaci, provocatorie e rivoluzionarie, ma forse pochi sanno che Toscani era anche un imprenditore agricolo con una grande passione per l’enogastronomia, un universo che ha saputo interpretare con la stessa intensità che ha caratterizzato la sua carriera.
Un ricordo di Olivero Toscani
Tra le righe 13.01.2025, 14:00
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Un Toscani che non ti aspetti: l’amore per la campagna e i frutti della terra
Milanese di nascita, Toscani nel 1969 decide di trasferirsi in un casale vicino a Bolgheri, in Toscana. Ha poco meno di vent’anni ed è uno studente di scuola dell’arte di Zurigo quando un amico ticinese lo porta in vacanza in quelle valli. L’amore per quella parte di Maremma pisana è immediato e circa dieci anni dopo, il giovane artista decide di lasciare la città per vivere pienamente la campagna e quelle terre dense di storia della gastronomia, tra filari, ulivi e cavalli. «Mi ricordo che quando arrivai qui - racconta lo stesso Toscani - domandavo come mai non si producesse vino in quella zona», ma da lì a breve, la zona di Bolgheri divenne una dei punti di riferimento per il mondo vitivinicolo, dove i grandi rossi la fanno da padrona, grazie a quelle note salmastre della costa tirrenica.
Voglio un vino allegro, infatti utilizzo le parole della musica: grandioso, eroico, vivace, brillante con moto, allegro con brio. Ecco il mio è un po’ così. Il vino per me deve essere un ingrediente di grande piacere e di grande vitalità.
Per Toscani il mondo enogastronomico non era soltanto una semplice passione. Il suo impegno nel settore agricolo era una dichiarazione di intenti: celebrare la bellezza della terra e l’importanza della qualità. Tra filari di viti e uliveti, Toscani aveva trovato un rifugio creativo che rifletteva i suoi valori più profondi: autenticità, cura del dettaglio e rigetto della banalità. Nacque così la sua azienda agricola biologica “TOSCANI”, a Casale Marittimo, un piccolo borgo sulla costa toscana, in cima alle colline a pochi chilometri da Bolgheri. Nella sua azienda hanno un ruolo fondamentale la produzione di vino e quella di olio, ingrediente fondamentale per il fotografo, che amava raccontare con orgoglio i migliaia di olivi piantati e che coloravano quelle terre rossastre tipiche di quella zona. «Sono un maniaco dell’olivo», diceva.
Non si producono soltanto ingredienti, si produce qualità di vita. Non produco solamente olio e vino. Qui produco la mia vita, quella di mia moglie, dei miei figli, dei miei nipoti. Di tutti.
Filari, ulivi e semplicità secondo Toscani
I servizi 24.10.2012, 11:08
Toscani e il cibo “buono pulito e giusto”
Al cibo buono, sano e giusto il celebre creativo ha sempre creduto, battendosi per fare capire l’importanza del cibo per la società e per l’essere umano: «Ci vuole un’educazione nel mondo gastronomico. Adesso stiamo capendo che siamo ciò che mangiamo e ciò che si mangia, mangia noi».
Era il 1996 quando Toscani coinvolse il cibo come soggetto in una delle opere rimaste nella storia: la mano nera con una manciata di chicchi di riso. Il messaggio era inequivocabile e fu uno schiaffo alla società occidentale del benessere, superficiale e incline agli sprechi senza fine. Quella mano porgeva del riso a chi non ne aveva, o stava mostrando il suo grande tesoro?
La sua vicinanza al mondo del cibo e alle tematiche che vanno oltre il piacere della tavola, prendono forma anche nel 2014, a Torino, in occasione del Salone Internazionale del Gusto e Terra Madre, quando Toscani si dedicò a raccontare la visione di Carlo Petrini, gastronomo e fondatore di Slow Food. La mostra si chiamava “Terra Madre secondo Oliviero Toscani” e le fotografie volevano celebrare ed esaltare quei prodotti in via di estinzione di tutto il mondo, così come i volti protagonisti di quegli uomini e donne che si fanno custodi di saperi inestimabili, da salvaguardare. L’obiettivo era mettere il cibo in primo piano come collante delle diversità umane, ma anche un monito alla salvaguardia di un patrimonio gastronomico che, se dimenticato, rischia di spazzare via culture, volti, identità.