La guerra civile in Sudan entra oggi, sabato, nella sua terza settimana. I combattimenti tra l'esercito del generale Buhran e i rivali paramilitari del generale Dagalo continuano nonostante il cessate il fuoco in corso. E non si arresta l'esodo dal paese, degli stranieri e dei sudanesi che hanno i mezzi per farlo.
Fino a ieri sera, stando a quanto comunicato dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), una cinquantina di cittadini col passaporto svizzero sono riusciti a lasciare il Sudan con voli organizzati da altri paesi, mentre sarebbero 25 le persone con relazioni con la Svizzera che chiedono aiuto per poter scappare.
Bombardamenti aerei, scontri con artiglieria pesante e carri armati: combattimenti tra le forze dei due generali sudanesi in lotta per il potere sono in corso fin dalle prime ore di sabato nella capitale Khartum e nelle città limitrofe. Una situazione che non ha niente a che fare con quello che dovrebbe essere il cessate il fuoco concordato, come testimonia alla RSI il portavoce del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) in Sudan Germain Mwehù.
"In questo momento mi trovo a Kassala, città nell'est del Sudan. Con altri colleghi sono stato costretto a lasciare Khartum la scorsa settimana. Qui non ci sono combattimenti, ma vediamo le conseguenze di quanto sta accadendo nella capitale. Qui arrivano gli sfollati. Non li vediamo in giro, sono sistemati presso famiglie. Famiglie di 5-6 persone ora ne ospitano più di venti", racconta ai nostri microfoni.
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Ospedali senza forniture mediche
Sono più di 75’000 gli sfollati interni causati da due settimane di conflitto che ha anche altre gravi conseguenze, come spiega ancora il portavoce del CICR: “I prezzi dei beni essenziali, come il cibo e lo zucchero sono raddoppiati o anche triplicati. Inoltre, manca il carburante in molte città, anche qui a Kassala che è lontana dal teatro dei combattimenti. Nelle città in cui si combatte la situazione umanitaria è terribile. Molti ospedali hanno deciso di chiudere perché non ricevono più forniture mediche. A Khartum e in varie città della regione del Darfur mancano l'acqua e l'elettricità perché non viene più fatta la manutenzione degli impianti. Il personale o se n'è andato o non va al lavoro perché è troppo pericoloso."
E anche le agenzie umanitarie sono state costrette ad interrompere la loro attività, il CICR si è dovuto riorganizzare: "È impossibile per noi operare da Khartum perché non abbiamo sufficienti garanzie di sicurezza. Il CICR si è quindi spostato in altre città, come Kassala dove mi trovo io, da dove cerchiamo di sostenere la Mezzaluna rossa che si trova ancora nella capitale”.
L'urgenza principale è quella dei pochi ospedali rimasti operativi, che devono prendersi cura degli oltre 4’000 feriti. E ciò che può fare il CICR, ammette Germain Mwehù, non è molto: “La settimana scorsa siamo riusciti fornire medicine ad alcuni ospedali nella regione del Darfur, ma a parte questo non siamo riusciti a fare altro."
Riesplodono gli scontri tribali in Darfur
La situazione in Darfur è grave, con una ottantina i morti provocati dagli scontri negli ultimi giorni. "Siamo focalizzati su Khartum ma non dobbiamo dimenticare il Darfur dove la situazione è molto brutta – sottolinea il portavoce – Qui si stanno combattendo non solo le forze dei due generali, ma stanno riesplodendo gli scontri tribali che anche in passato hanno caratterizzato questa regione. Qui la situazione è ancora più confusa e complicata."
Intanto prosegue la fuga degli stranieri dal Sudan: quasi 13’000 quelli tra diplomatici e semplici cittadini portati fuori dal paese da vari governi. "Capisco gli stranieri che se ne vogliono andare. È comprensibile. Ma questo è il momento in cui i sudanesi hanno bisogno della solidarietà internazionale. Non si deve abbandonare il Sudan! E dico alle parti in conflitto che anche se gli stranieri se stanno andando è un loro obbligo secondo la legge umanitaria internazionale proteggere la popolazione civile", esclama Germain Mwehù.
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