Nonostante l’escalation, al momento più retorica che reale, tra l’entrata in gioco delle truppe di Pyongyang a fianco di quelle di Mosca, il cambiamento della dottrina nucleare russa, il via libera statunitense a Kiev per colpire in profondità con armi a lungo raggio, si sono moltiplicate nelle ultime settimane le voci su possibili risoluzioni del conflitto e piani di pace, veri o presunti, per aprire il dialogo tra Russia e Ucraina: o per meglio dire tra Russia e Occidente, visto che la guerra non è limitata ai due paesi protagonisti, ma il palcoscenico dal 22 febbraio 2022 si è allargato a molteplici attori, a causa dello spostamento in atto degli equilibri politici internazionali.
Da una parte Mosca e il fronte antistatunitense, con Cina e BRICS che appoggiano una exit strategy dalla guerra partendo dallo status quo, ossia dall’occupazione russa dei territori tra la Crimea e il Donbass. Dall’altra Kiev appoggiata da USA e NATO, che sino ad ora hanno sostenuto la linea dell’integrità territoriale dell’Ucraina, puntando sul respingimento delle forze russe oltre i confini del 2014. Dopo 1000 giorni di guerra il quadro è quello che vede la Russia in vantaggio sul campo, l’Ucraina lontana dai propri obbiettivi e i tentativi di pacificazione allo stato embrionale.
La posizione russa
Se da una parte il Cremlino continua a ribadire di essere pronto al dialogo sulla base della situazione attuale, cioè dall’annessione delle regioni occupate a partire dal 2014, quando è cominciata la prima guerra nel Donbass, dall’altra prosegue la campagna militare, approfittando della debolezza ucraina. Gli obbiettivi di Vladimir Putin sono il mantenimento dei territori già sotto controllo, il cambio di regime a Kiev e l’Ucraina fuori dalla NATO. A Mosca non è stato formulato nessun piano di pace nero su bianco e anche la definizione degli scopi della guerra, per quanto riguarda almeno le conquiste territoriali, è sempre stata volutamente vaga, segnale comunque di una certa flessibilità.
Il piano ucraino
Nel corso del conflitto Volodymy Zelensky ha formulato concretamente due progetti: il primo lanciato nell’autunno del 2022 che prevedeva trattative con Mosca solo dopo il ritiro delle forze russe da Donbass e Crimea; il secondo annunciato qualche settimana fa e denominato piano della vittoria, che sostanzialmente e in maniera ufficiale ribadisce l’obbiettivo di riconquistare i territori perduti, concludendo il conflitto con il successo ucraino e la sconfitta russa. Il presidente ucraino, pur tenendo sempre la linea, ha talvolta accennato a possibili deviazioni di percorso, seguendo per forza di cose l’andamento del conflitto in costante peggioramento. D’altro canto l’Ucraina dipende in maniera totale dagli aiuti occidentali di Stati Uniti e NATO e il margine reale di manovra è limitato: modi e tempi della road map di pacificazione devono essere coordinati in definitiva con Washington. L’asse di dialogo fondamentale è però quello tra la Casa Bianca e il Cremlino.
La scelta di Trump
Molto dipende dunque da quali saranno le mosse di Donald Trump, che in campagna elettorale aveva annunciato di poter far concludere il conflitto nel giro di 24 ore. Dopo il successo del 5 novembre i media hanno riportato indiscrezioni sull’atteggiamento che potrebbe tenere il prossimo presidente statunitense nei confronti dell’Ucraina per accelerare la fine della guerra. I tagli al sostegno militare sarebbero il segnale che costringerebbe Kiev a vedere al ribasso i propri obbiettivi, aprendo la via al compromesso che secondo Trump potrebbe consistere nella formula pace in cambio di territori, nel contesto quindi di un approccio più realistico. Ma al di là di un possibile stop alla guerra e al congelamento del conflitto sull’attuale linea del fronte, i nodi da sciogliere tra Washington e Mosca sono quelli del futuro status dell’Ucraina, e delle garanzie per Kiev, e della ridefinizione dell’architettura di sicurezza in Europa.
La mossa di Erdogan
Dopo i primi colloqui di pace, falliti, svoltisi in Turchia nell’aprile del 2022, Recep Tayyp Erdgogan ha cercato regolarmente la mediazione tra Russia e Ucraina, sfruttando la posizione un po’ ibrida di presidente di un paese membro della NATO e comunque con buoni rapporti con Putin. Se in seguito al successo dell’accordo su grano e sulla sicurezza sul Mar Nero i tentativi di avvicinare Mosca e Kiev sono falliti, adesso è arrivato il rilancio con un piano di pacificazione abbastanza dettagliato, secondo il quale il conflitto dovrebbe essere congelato sull’attuale linea di contatto, l’Ucraina sospendere per dieci anni i negoziati di adesione all’Alleanza Atlantica e truppe internazionali dovrebbero essere stanziate come garanzia di sicurezza. La Russia lo ha già bocciato proprio per il fatto che il futuro di Kiev è visto dal Cremlino assolutamente fuori dalla NATO.
I punti cinesi
La Russia per contro si è sempre mostrata favorevole alle proposte in arrivo dalla Cina e reiterate ad ogni occasione: in realtà Pechino non ha sviluppato un vero e proprio piano di pace, ma ha presentato già lo scorso anno una posizione in dodici punti che collima in sostanza con la visione del Cremlino, dato che suggerisce colloqui diretti partendo dallo status quo e mette l’accento anche sull’abbandono della mentalità da Guerra fredda, definizione standard utilizzata come riferimento alla volontà di predominio globale degli Stati Uniti e alle ingerenze di Washington negli affari degli altri Paesi. L’alleanza strategica sviluppatasi nell’ultimo decennio tra Putin e Xi Jinping, rafforzatasi dopo l’invasione russa dell’Ucraina, è un fattore che influenzerà in ogni caso non solo il corso della crisi ucraina e forse la sua conclusione, ma il quadro delle relazioni internazionali globali, tra l’Occidente e il resto del mondo.
Mille giorni di guerra in Ucraina
Telegiornale 19.11.2024, 20:00