Peggiora il bilancio delle vittime dei due terremoti, accompagnati dalla violenza distruttiva di uno tsunami, che hanno colpito venerdì scorso l'isola indonesiana di Sulawesi: secondo l'agenzia della gestione delle catastrofi i morti sono 1'234.
Le strade della città di Palu, il principale centro di Sulawesi, sono ancora coperte di detriti e cadaveri. Si continua a scavare fosse comuni per seppellire le centinaia di corpi finora recuperati, anche se le autorità hanno avvertito che si troveranno ancora più vittime, una volta che i mezzi pesanti avranno liberato l'area dalle macerie. Intanto la popolazione non ha più da mangiare e l'acqua potabile scarseggia. I rifornimenti continuano ad essere ostacolati dai gravi danni subiti alle reti di comunicazione. Gli aiuti dall’estero (compresi quelli svizzeri) sono in arrivo mentre migliaia e migliaia di persone stanno tentando di fuggire. Anche perché la terra continua a tremare: la notte scorsa si sono registrate nuove scosse. La più importante, di magnitudo 6,3, ha colpito l’isola di Sumba. Che si trova però ad alcune centinaia di chilometri da Palu.
RG 12.30 del 2 ottobre 2018 Il servizio di Anna Valenti
RSI Info 02.10.2018, 15:27
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Le cifre del disastro sono impressionati: 2,4 milioni di persone coinvolte, tra cui 600'000 bambini che, secondo Save The Children, rischiano di non avere riparo e cibo a sufficienza, mentre in molti hanno già perso le loro famiglie. Le ONG sul terreno fanno quello che possono, insieme alle autorità locali, per raggiungere tutte le zone colpite, ma molte risultano ancora inaccessibili. Oxfam ha lanciato un appello per soccorrere circa 500'000 persone.
Nel paese, intanto, ci si chiede se questa tragedia poteva essere evitata. Nel mirino è finita soprattutto l'agenzia meteorologica nazionale, la BMKG, che avrebbe annullato l'allerta troppo presto, poco più di 30 minuti dopo la prima scossa, ma a tsunami in corso. L'agenzia ha assicurato che l'allarme è cessato pochi minuti dopo la terza e ultima ondata. Il problema è che il terremoto ha abbattuto le linee elettriche e di comunicazione. Quindi è molto probabile che gli allarmi non siano mai arrivati agli abitanti della costa. Inoltre i sensori delle boe in alto mare, ormai da qualche anno, non segnalavano più correttamente i pericoli, per un banale problema di manutenzione: mancavano i fondi per mantenerli in funzione. Nella zona colpita dallo tsunami, inoltre, mancavano sirene per avvertire (in modo inequivocabile) la popolazione. Ricordiamo che questo sistema era stato allestito dopo il disastroso tsunami del 2004. Quindi messo a punto, in teoria, per far fronte a scenari reali, dopo la tragedia vissuta quasi 14 anni fa.
ATS/M. Ang.