A più di tre settimane dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina, sono ancora diffusi gli interrogativi sulle effettive ragioni che hanno indotto Vladimir Putin a lanciare l'attacco. È stata soprattutto una reazione all'espansione ad est della NATO, oppure l'offensiva sottende un obiettivo più sistematico? Fino a dove vuole arrivare il capo del Cremlino?
Domande che giriamo ad un esperto nel campo della geopolitica: Marco Di Liddo, senior analyst del Centro Studi Internazionali di Roma (CeSI), il quale evidenzia la necessità di cogliere le questioni strategiche sullo sfondo del conflitto. E questa guerra, sostiene, rientra in precise dinamiche legata alla definizione di aree d'influenza. Quali sono, allora, i reali obiettivi del presidente russo? Per questo studioso la risposta è univoca: Putin, trascorso un trentennio dalla dissoluzione dell'impero sovietico, "vuole riscrivere le regole degli equilibri politici e di sicurezza in Europa. Punta quindi ad una rinnovata posizione d'influenza per Mosca: "una nuova Yalta", chiamiamola così", che preveda la definizione di una sfera d'influenza russa "che va dal Baltico fino al Caucaso, e che ha nel controllo dell'Ucraina e della Georgia due punti irrinunciabili".
Memorie imperialistiche e mire attuali: la bandiera sovietica su uno dei carri armati russi impegnati nell'invasione dell'Ucraina
Simili premesse, osserviamo, sembrano quasi suffragare l'idea di un Putin determinato a imporre una sorta di Unione post-sovietica. Un'idea non peregrina, osserva Di Liddo, tenendo però ben presente il fatto che Putin è "figlio della cultura sovietica", ma anche di una "cultura imperiale russa ben più antica". Quella che spazia, insomma, dal mito di Mosca "terza Roma" del cristianesimo, fino ai fasti dell'impero zarista. Ma l'espansionismo è un dato così connaturato a questa cultura? "Assolutamente sì. È parte del genoma politico russo a livello internazionale" e risponde ora ad una finalità precisa: "Mettere quanta più terra possibile fra la capitale, i centri nevralgici militari e industriali russi, e il mondo occidentale". In questo senso il tentativo di controllare l'Ucraina sottende quindi l'obiettivo di "creare una zona di protezione" fra il cuore della Russia e l'Occidente.
Intanto, rileva l'esperto, stiamo assistendo allo "showdown finale" di un percorso scandito negli anni da più sviluppi premonitori: dalla centralizzazione del potere nelle mani di Putin, al conflitto del 2008 in Georgia; dai flussi di gas russo verso ovest, sfruttati come arma geopolitica, fino all'annessione nel 2014 della Crimea. E ora il capo del Cremlino si sta giocando il tutto per tutto con un ricorso alle armi diretto e spregiudicato: un azzardo che Di Liddo spiega sia con la "consapevolezza che l'Occidente non è disposto a giocarsi il tutto per tutto per l'Ucraina", sia con l'idea per cui la rottura delle relazioni con l'Europa possa ormai essere compensata con una intensificazione dei rapporti con potenze come Cina e India.
Militari russi dislocati nel 2014 in Crimea: l'annessione della penisola fu uno dei prodromi di una crisi sfociata ora nell'invasione dell'Ucraina
Ma se il disegno di Putin venisse coronato da successo, cosa impedirebbe ad altri Paesi dell'area ex sovietica di ritrovarsi, in un futuro, in una situazione analoga a quella dell'Ucraina? Sostanzialmente nulla, ritiene l'esperto, "perché il limite all'azione della Russia può essere messo o da un' Europa compatta, o da potenze in grado di confrontarsi in maniera paritaria con la Russia": come a dire Cina e Stati Uniti. Quanto all'UE, essa ha certamente il suo peso economico e anche militare, ma difetta di una visione politica comune: "Noi non vogliamo la guerra sul nostro territorio e a un certo punto dobbiamo accettare il fatto di essere un continente che dipende dall'esterno per energia e materie prime. E un continente che ha questo tipo di vulnerabilità deve pensarci due, tre, quattro volte prima di andare allo scontro diretto politico con la Russia, e non solo". sottolinea l'esperto.
Come abbiamo visto gli Stati Uniti, al di là delle sanzioni decise e di ferme condanne, si guardano bene da un intervento militare. Intanto, afferma Di Liddo, va però respinta la retorica putiniana sull'allargamento della NATO ad est. "La NATO risponde alla richiesta di un governo sovrano. Quindi anche da questo punto di vista dobbiamo essere chiari: sono i Paesi sovrani, degli Stati sovrani, che chiedono alla NATO" di poter entrare nell'organizzazione. Non è insomma la NATO "che li fagocita di sua spontanea volontà".
Putin e il presidente cinese Xi Jinping: accomunati, per rispettive ragioni, da tensioni nel confronto con gli Stati Uniti
E la Cina? Il rinnovato espansionismo russo non potrebbe portare a tensioni con Pechino? Il rischio è alto, secondo Di Liddo, ma va anche considerata la realtà dei rapporti di forza fra i due Paesi. La Russia è una grande esportatrice di energia e materie prime, ma "dal punto di vista della sofisticatezza economica è ancora molto arretrata". La Cina, come l'Occidente, ha bisogno di materie prime ma è anche un produttore di tecnologia, "cosa che la Russia non è". Le attuali dinamiche rendono quindi i rapporti di forza sbilanciati a favore della Cina. "In questo momento Mosca ha più bisogno di Pechino, rispetto a quanto Pechino abbia bisogno di Mosca", sottolinea lo studioso del CeSI.
Inoltre i due Paesi, non va dimenticato, sono ora per rispettive ragioni accomunati da tensioni nel confronto con gli Stati Uniti. Come potrebbe quindi articolarsi il confronto fra Mosca e Pechino? "Sul Caucaso molto probabilmente i cinesi potrebbero dare il via libera senza problemi ai russi per una eventuale nuova azione". Diverso è invece il caso dell'Asia centrale e segnatamente del Kazakistan, che è uno dei più grandi partner commerciali di Pechino. E qui "la Cina potrebbe sconsigliare ai russi di fare un'azione in grado di compromettere i suoi interessi".
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Tornando agli sviluppi della guerra, l'Ucraina continua a resistere ed è ormai da tempo tramontata la prospettiva di una
Blitzkrieg russa. Ma la disparità fra le forze in campo è talmente marcata "che la resistenza ucraina, anche qualora si trasformasse in guerriglia autentica, non potrà durare in eterno", afferma Di Liddo, aggiungendo che in ogni caso non va sottovalutata la ferrea volontà del Cremlino a procedere fino in fondo. Quella stessa determinazione che di converso, per la difesa dell'Ucraina, fa invece difetto in campo occidentale: "L'Occidente non vuole andare fino in fondo, costi quel che costi", conclude l'esperto del CeSI.
Alex Ricordi