La Siria e il terremoto. Una tragedia nella tragedia, con la difficoltà di portare gli aiuti con il regime di Assad sottoposto a sanzioni. Il Governo di Damasco ha accettato lunedì di aprire altri due valichi di frontiera, per permettere l'ingresso degli aiuti umanitari internazionali. La situazione, però - nelle zone più colpite dal sisma - rimane drammatica e si somma a tutta una serie di sofferenze con le quali i siriani devono convivere da anni.
Quattro, cinque, seimila. Difficile stimare con precisione il numero di vittime causate dal terremoto di lunedì scorso in Siria. I numeri cambiano a seconda della fonte: governativa, ribelle, internazionale. Certo è che - sebbene le cifre siano decisamente più basse rispetto a quelle della Turchia - la situazione, ad Aleppo, Idlib, Latakia ed Hama non è certo meno drammatica. Il Governo di Assad ha deciso, appunto, di aprire altri due valichi di frontiera, per permettere un più rapido arrivo degli aiuti. Ma anche in questo campo, il paragone con la Turchia è impietoso, come spiega alla RSI Filippo Agostino, responsabile per la Siria dell'ONG svizzera AVAID, che ha sede a Lugano.
"Gli aiuti internazionali, soprattutto dai Paesi arabi, sono arrivati subito. Ma si nota la differenza netta tra gli aiuti arrivati in Turchia e in Siria, Paese ancora sotto rigide sanzioni internazionali", spiega Agostino, e prosegue: "Le necessità sono molte, estese non solo a questa prima emergenza, ormai passata. Si entra in una seconda fase, in cui gli sfollati devono rientrare nelle proprie case o trovare sistemazioni alternative adeguate".
Gli aiuti, spiega il responsabile per la Siria di AVAID, serviranno per i prossimi 3-6 mesi. Ma passato questo periodo la situazione rischia di non migliorare. "La Siria è in guerra da 12 anni. Ha subito come tutti il Covid-19, e in seguito alla crisi libanese, una crisi socioeconomica molto grave: il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Da settembre scorso, soprattutto nella zona di Aleppo aveva anche un'epidemia di colera di rilevanza mondiale", fa notare Filippo Agostino.
Una situazione drammatica, insomma. Ma dentro alla quale, grazie anche al lavoro di centinaia e centinaia di volontari, si continua comunque a sperare.