Dopo l'uccisione di Qassem Soleimani su ordine degli Stati Uniti, l'Iran ha annunciato una "dura vendetta" che avverrà "nel posto giusto al momento giusto". Ma a tre giorni dalla morte dell'alto militare, l'unico passo ufficiale fatto da Teheran è stato l'annuncio di un ulteriore disimpegno dall'accordo nucleare del 2015.
Va detto, tuttavia, che l'Iran è ancora dentro l'accordo - da cui gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente nel maggio 2018 - e continuerà a permettere agli ispettori dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) di accedere ai siti per controllare che il processo sia esclusivamente civile. Le potenze occidentali hanno però espresso preoccupazione per questa mossa. Lo spauracchio, infatti, è sempre l'arma nucleare.
Crisi Iran-Usa, le reazioni
Telegiornale 06.01.2020, 01:30
Il rischio, però, secondo Raffaele Mauriello, analista e professore della Allameh Tabataba’i University di Teheran, intervistato dalla RSI, non c'è o è estremamente ridotto. Almeno in questa fase, in cui i livelli di arricchimento dell'uranio sono (per quanto è dato saperne) ancora bassi. "Siamo lontanissimi dalla soglia per la bomba, poi quest’arma nucleare bisogna inviarla attraverso un’aereo con dei missili. Non è una cosa così semplice", spiega Mauriello, sottolineando che la dottrina militare iraniana, ad ogni modo, non prevede l'utilizzo di armi di distruzione di massa.
Va ricordato, però, che secondo alcuni analisti, prima dell'accordo del 2015, l'Iran avrebbe impiegato circa un anno per testare un'arma di questo tipo. In questa nuova fase, non è noto il livello di arricchimento che Teheran vorrà raggiungere. Ma è ragionevole supporre, che qualunque mossa in questo ambito verrà fatta segretamente.
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