Curiosità e trend

Salutare il nuovo anno con i cibi portafortuna

Dieci ingredienti immancabili per il cenone di Capodanno con le curiose leggende

  • 30 dicembre 2024, 09:00
tavola capodanno - croccanti segnaposto

tavola capodanno - croccanti segnaposto

  • ©Luisa J.Rusconi
Di: Alice Tognacci 

Con il cenone di Capodanno, quando si decide di passarlo a casa con gli amici o la famiglia, si entra in quella dimensione di festa e condivisione in cui ognuno, spesso, porta qualcosa, tradizioni e usanze incluse. La notte di San Silvestro tutto è concesso e il cibo ha un ruolo fondamentale, soprattutto se si è superstiziosi e ci si affida ad ingredienti immancabili per augurarsi un anno pieno di belle cose.

È a Giulio Cesare, nel 46 a.C., che dobbiamo l’inizio dell’anno il primo di gennaio. Con l’istituzione del calendario Giuliano, infatti, i Romani usavano invitare a pranzo gli amici e scambiarsi il dono di un vaso bianco con miele, datteri e fichi, il tutto accompagnato da ramoscelli di alloro - detti strenne - come augurio di fortuna e felicità.
Oggi, molte delle nostre abitudini gastronomiche e culinarie risalgono al periodo medievale, quando erano le festività a scandire i periodi di “magra” o di “grassa” e la tavola si differenziava sostanzialmente tra contadini e signori, campagna e città, chierici e laici.

Molte usanze le dobbiamo al mondo contadino del passato

Con le festività di fine anno si entra nella sfera del cibo cerimoniale ed è al mondo contadino del passato che dobbiamo attingere per capire da dove vengano determinate usanze. È in questa dimensione che la tavola della festa è fatta di piatti d’eccezione: si imbandiscono tavole con abbondanza di cibi e, spesso, si consumano ingredienti particolari che la cascina non produce nel quotidiano, per contrastare la cucina povera di tutti i giorni. Il contadino condivideva a tavola le risorse alimentari scarse, faticosamente messe da parte durante l’anno agrario, per augurarsi la stessa abbondanza nell’anno venturo e condividerla con i parenti. 

Il cibo della festa è quello grasso, dai sapori robusti e anche inusuali, a sottolineare l’eccezionalità. In passato, infatti, era inusuale avere frutta fresca fuori stagione, perché costosa e simbolo di banchetti da signori, gli unici a potersi permettere frutta “esotica” fuori stagione.

Ol Bagiöö, l’uva “passa” di casa

Ol Bagiöö è il grappolo d’uva che i contadini mettevano in cantina o in cucina vicino al camino, per portarlo in tavola dolce e rinsecchito come uva sultanina, il giorno di Natale al termine del pranzo. Un simbolo dei doni della terra.

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Bagiöö, pan d'üga e spampezi

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Gli ingredienti di rito

Il menù del cenone di San Silvestro, come in passato per il mondo contadino, assomiglia a un rito propiziatorio o a un filtro d’amore: tutto ciò che sarà mangiato durante questa magica serata deve favorire l’avverarsi di desideri. Ecco perché ci sono tanti cibi ricorrenti e simbolici in tutte le tavole del Capodanno con mille sfumature, leggende, credenze e superstizioni, in tutte le culture e di casa in casa.

Lenticchie

Le immancabili lenticchie abbondano sulle tavole di San Silvestro grazie a una storia davvero antica. Sono infatti già le tavole degli antichi greci e romani a non esserne mai sprovviste, per lo più quelle delle classi più povere e meno agiate.

La lenticchia è sempre stata apprezzata per il costo esiguo e l’alto contenuto calorico ed energetico. È per la forma simile a tanti piccoli spiccioli, però, che viene riconosciuta come simbolo augurale di prosperità e abbondanza. Già nell’antica Roma si attesta venissero regalati sacchettini di lenticchie a inizio anno come buono augurio, fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui sacchettini del piccolo legume non mancano in cesti natalizi o come contorno di cotechini o stufati.

Le lenticchie sono il legume più antico coltivato dall’uomo. Le prime tracce della loro coltivazione risalgono al 7000 a.C., in Asia, nell'area che oggi, a grandi linee, corrisponde alla Siria. Da qui, nel tempo, la loro coltivazione e il loro consumo si sono diffusi in tutto il Mediterraneo grazie ai commerci via mare.

Frutta secca

In Francia, la notte di San Silvestro, è usanza mangiare addirittura 13 tipi di frutta secca. Il motivo è risalente ai tempi dell’antica Roma, dove la frutta secca era un simbolo ben augurante, soprattutto durante i matrimoni. Frutta secca dal guscio duro e dall’interno morbido, poi, divennero in seguito simboli cristiani di interiorità e di misticismo.
Largo quindi a noci, nocciole, arachidi, uvetta, mandorle, fichi e datteri.

Melagrana

Sia per il colore rosso che per la forma del chicco, questo frutto può arricchire insalate o piatti a base di carne con la sua nota leggermente acidula ed estremamente coinvolgente. Nella mitologia greca e romana la pianta e il frutto erano considerati sacri perché amati dalle dee Venere e Giunone, spesso rappresentate proprio con una melagrana in mano. Da qui l’idea che sia simbolo di fertilità, ricchezza, ma anche fedeltà coniugale: la leggenda narra che Proserpina, dopo aver mangiato questo frutto, sia stata condannata a passare il resto della vita nell’Ade, insieme a Plutone suo sposo. Sempre le spose, poi, pare ne bevessero il succo per la fertilità.

In Grecia, ancora oggi, si usa fare cadere frutti di melagrana a terra, davanti alla porta di casa, per vedere quanti grani rotolano sul pavimento, e dunque “quantificare” quanti soldi arriveranno.

Uva: 12 chicchi allo scoccare della mezzanotte

Anche questo frutto, dalla forma tondeggiante, simile a delle monete, ritorna spesso sulle nostre tavole e pare debba essere mangiato per augurarsi un nuovo anno all’insegna dell’abbondanza.

Il simbolismo dell’uva e del vino è mito delle culture antiche. Vite, uva e vino sono da sempre simboli di gioia, vita, amore, rinascita, pace e rivincita sulla morte (tema caro anche al Cristianesimo). Secondo antiche credenze, infatti, con la sua abbondanza l'uva riportava la vita dove sembrava non esserci più.

In Spagna, mangiare 12 acini di uva ai rintocchi dell’orologio sono una tradizione assodata. Pare infatti che nei primi anni del Novecento, ad Alicante, ci si imbatté in un’annata di vendemmia particolarmente abbondante, motivo per cui i viticoltori della zona, per smaltire l’uva in eccesso, iniziarono a spargere la voce che i chicchi d’uva mangiati a Capodanno portassero fortuna.

Ecco perché si usa mangiare 12 acini, quanti sono i mesi dell’anno venturo da rendere fortunati e quanti i rintocchi dell’orologio che suonano la mezzanotte!

Riso

Così come lo si usa ai matrimoni per augurare felicità e prosperità ai novelli sposi, anche a Capodanno un risotto non dovrebbe mancare, magari sfumato con qualche goccio di vino frizzante per festeggiare con un bello stappo, che secondo alcune credenze popolari scaccerebbe gli spiriti maligni. Anche in questo caso, il chicco e la sua forma richiamano fortuna e soldi.

Leggenda vuole, però, che i romani usassero lanciare il grano durante i matrimoni, perché il riso arrivò in occidente in età moderna portato dagli arabi in Spagna e Sicilia e a lungo rimase un ingrediente relegato alla vendita nelle drogherie insieme al resto di ingredienti esotici come le spezie.

Solo nel ‘400 si accolse la sua coltivazione e si riconobbe nel riso il grande valore nutrizionale che poteva sfamare i contadini.
Fino al ‘700, tracce di risotti nei ricettari non ce ne furono, proprio perché considerato un alimento per poveri, ma da lì in poi fu la riscossa del riso che lo vede il Re indiscusso dei primi piatti della tradizione.

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Maiale: perché cotechino e zampone?

Il maiale, nella società contadina, è da sempre simbolo di abbondanza, sazietà, prosperità, salute e felicità. Del maiale non si butta via nulla, come ben sappiamo, e per molte famiglie, se pensiamo anche solo ai nostri nonni, rappresentava un’abbondante riserva di carne e grasso per combattere il freddo e la fatica, ma anche una risorsa da utilizzare come merce di scambio in caso di improvvisa necessità economica.

Proprio da qui nasce, forse tra il XVIII e il XIX secolo, la tradizione di dare ai salvadanai l'aspetto di un porcellino di coccio, come metafora di lungimiranza e parsimonia.

Nella Svizzera italiana, cotechino e zampone sono protagonisti delle feste natalizie perché tipici prodotti della mazza del maiale, un tempo pratica estremamente sentita nelle comunità rurali. Allora, infatti, si mangiava un cotechino o uno zampone, oppure, se la famiglia era poco numerosa, un “cappello del prete”.

Maialini di marzapane

Del perché la figura del porcellino sia cara e di buono auspicio per il nuovo anno lo abbiamo già accennato in precedenza, ma cosa dire dei maialini di marzapane tanto cari alla Confederazione?

Le origini del marzapane sono generalmente fatte risalire al periodo delle Crociate, intorno all'anno Mille, quando l'influenza araba e mediorientale arrivò in Europa e in particolare si diffuse in Sicilia durante la dominazione araba.
Questa pasta dolce - la cui ricetta oggi è a base di albume d'uovo, miele o zucchero, e mandorle sminuzzate - trova largo impiego durante il Capodanno di tanti Paesi e sempre sotto forma di maialino. Da noi, come in altri paesi nordici e anglosassoni, le dolcissime bestiole portate in dono auspicano forza e prosperità.

Nei Paesi anglosassoni, alla dolce pasta malleabile viene data la forma di piccoli animaletti da scambiarsi durante la notte di San Silvestro.

Cappone

Un bel cappone ripieno o un buon brodo di cappone sono un’usanza e una pietanza ereditata dalle tradizioni del Nord Italia, soprattutto di Lombardia e Piemonte. Sia i contadini che i signori, non potevano farne a meno, perché simbolo di abbondanza e agiatezza. Il cappone, infatti, se si era contadini lo si allevava all’ingrasso con quanto di meglio si aveva a disposizione e lo si teneva poi per le feste a fronte dei sacrifici fatti durante l’anno; oppure lo si vendeva a prezzi molto alti, proprio perché ritenuto un mangiare di “lusso”.

In Lombardia ogni famiglia allevava almeno quattro capponi, per essere poi mangiati rispettivamente a Sant’Ambrogio, a Natale, a Capodanno e all’Epifania. Un’usanza che anche il Manzoni richiama nei Promessi Sposi, quando racconta di Renzo Tramaglino che regala quattro capponi all’avvocato Azzecca-garbugli.

Nella maggior parte dei casi veniva consumato arrostito e ripieno di ogni ben di dio: salsiccia o altri insaccati di maiale, noci, castagne ma anche mele o prugne. Anche lesso era un mangiare da signori: con il cappone si preparava un brodo tra i più gustosi, adatto per cuocere ravioli, tortellini, maltagliati all’uovo e altre paste ripiene tipiche delle feste. La carne del brodo veniva poi servita come secondo piatto.

Il nome “cappone” deriva dal verbo greco “kopto” che tradotto significa “tagliare”, legato all’operazione di castrazione che subisce il pollo. A questo tipo di trattamento, che ha origini molto antiche, si deve una carne molto più saporita, tenera e succulenta di quella del pollo normale, particolarmente adatta per la preparazione di ricette da acquolina in bocca.

Vino, purché siano bollicine da stappare con il botto

Ovunque è indispensabile il brindisi della mezzanotte con dello spumante che, stappato a mezzanotte esatta, faccia il botto: questo rumore, come quello di petardi e fuochi d’artificio, secondo credenze popolari servirebbero a scacciare gli spiriti maligni che si scatenano nel momento di passaggio dal vecchio al nuovo anno.
Ecco spiegata anche l’usanza dei "botti" di Capodanno.

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Bollicine per le feste

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