Con il cenone di Capodanno, quando si decide di passarlo a casa con gli amici o la famiglia, si entra in quella dimensione di festa e condivisione in cui ognuno, spesso, porta qualcosa, e in cui ognuno porta in tavola tradizioni e usanze. La notte di San Silvestro, tutto è concesso, soprattutto a tavola, e il cibo ha un ruolo fondamentale, soprattutto se si è superstiziosi e ci si affida ad ingredienti immancabili per augurarsi un anno pieno di belle cose.
È a Giulio Cesare, nel 46 A.C., che dobbiamo l’inizio dell’anno il primo di gennaio, con l’istituzione del calendario Giuliano, infatti, i Romani usavano invitare a pranzo gli amici e scambiarsi il dono di un vaso bianco con miele, datteri e fichi, il tutto accompagnato da ramoscelli di alloro, detti strenne, come augurio di fortuna e felicità. Oggi, molte delle nostre abitudini gastronomiche e culinarie risalgono al periodo medievale, quando erano le festività a scandire i periodi di “magra” o di “grassa” e la tavola si differenziava sostanzialmente tra contadini e signori, campagna e città e chierici e laici.
Molte usanze le dobbiamo al mondo contadino del passato
Di base, con le festività, e con il Capodanno soprattutto, si entra nella sfera del cibo cerimoniale ed è al mondo contadino del passato che dobbiamo attingere per capire da dove vengano determinate usanze. In quella dimensione, mentre la quotidianità viene associata a una cucina povera che trae alimenti dal podere, dall’aia, quella della festa è una cucina d’eccezione; si imbandiscono tavole con abbondanza di cibi e, spesso, si consumano cibi particolari che la cascina non produce nel quotidiano.
Il cibo della festa è quello grasso, dai sapori robusti e anche inusuali, a sottolineare l’eccezionalità. In passato, infatti, era inusuale avere frutta fresca fuori stagione, perché costosa e simbolo di banchetti da signore – solo loro potevano permettersi frutta “esotica” fuori stagione. Nel mondo contadino, per esempio, si conservava gelosamente l’uva dalla vendemmia fino al Capodanno, appendendola alle travi dei solai, prendendo il nome di “uva posata” nel vicino Piemonte. Nelle cene di questo tipo, insomma, per un giorno, il contadino condivideva a tavola le risorse alimentari scarse, faticosamente messe da parte durante l’anno agrario per portare abbondanza e augurarsela per il nuovo anno in arrivo, ma anche per condividerla con i parenti.
Il menù del cenone di San Silvestro, come in passato per il mondo contadino, assomiglia a un rito propiziatorio o a un filtro d’amore: tutto ciò che sarà mangiato durante questa magica serata deve favorire l’avverarsi di desideri. Ecco perché ci sono tanti cibi ricorrenti e simbolici in tutte le tavole del Capodanno con mille sfumature, leggende, credenze e superstizioni, in tutte le culture, in tutti i mondi, in tutte le famiglie…
Lenticchie
Alzi la mano chi non pensa alle lenticchie quando fa la lista della spesa per il cenone di San Silvestro e chi, almeno una volta, non ha creduto che mangiandole allo scoccare della mezzanotte, il nuovo anno sarebbe stato più “ricco”!
Le immancabili lenticchie abbondano sulle nostre tavole grazie a una storia davvero antica. Innanzitutto bisogna ricordare che la lenticchia è il legume più antico coltivato dall’uomo; le prime tracce della loro coltivazione risalgono al 7000 a.C., in Asia, nell'area che oggi, a grandi linee, corrisponde alla Siria. Da qui, nel tempo, la loro coltivazione e il loro consumo si sono diffusi in tutto il Mediterraneo grazie ai commerci via mare. Sono anche le tavole degli antichi greci e romani a non esserne mai sprovviste, per lo più quelle delle classi più povere e meno agiate proprio perché la caratteristica principale della lenticchia è sempre stato il costo esiguo e l’alto contenuto calorico ed energetico. Durante il medioevo, infatti, in epoca di carestia, le lenticchie sostituivano spesso un pasto completo perché facilmente reperibili anche dai più poveri. Oltre ad avere la forma simile a tanti piccoli spiccioli, quindi, la lenticchia è riconosciuta anche per il suo grande valore nutrizionale che, sin da tempi antichi, augurava prosperità e abbondanza. Già nell’antica Roma si attesta venissero regalati sacchettini di lenticchie a inizio anno come buono augurio, fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui sacchettini del piccolo legume non mancano in cesti natalizi o come contorno di cotechini o stufati.
Frutta secca
Lo sapevate che in Francia, la notte di San Silvestro, è usanza mangiare addirittura 13 tipi di frutta secca? Largo quindi a noci, nocciole, arachidi, uvetta, mandorle, fichi e datteri! Il motivo lo dobbiamo sempre all’antica Roma, dove la frutta secca era un simbolo ben augurante, soprattutto durante i matrimoni – vedi le famose nozze coi fichi secchi. Frutta secca dal guscio duro e dall’interno morbido, poi, come mandorle, noci e nocciole divennero in seguito simboli cristiani di interiorità e di misticismo
Melagrana
Sia per il colore rosso che per la forma del chicco, questo frutto può arricchire insalate o piatti a base di carne con la sua nota leggermente acidula ed estremamente coinvolgente. Nella mitologia greca e romana la pianta e il frutto erano considerati sacri perché amati dalle dee Venere e Giunone, spesso rappresentate proprio con una melagrana in mano. Da qui l’idea che sia simbolo di fertilità, ricchezza, ma anche fedeltà coniugale: la leggenda narra che Proserpina, dopo aver mangiato questo frutto, sia stata condannata a passare il resto della vita nell'Ade, insieme a Plutone suo sposo. Sempre le spose, poi, pare ne bevessero il succo per la fertilità. In Grecia ancora oggi si usa farli cadere in terra davanti alla porta di casa per vedere quanti grani rotolano sul pavimento, e dunque quanti soldi arriveranno.
Uva: 12 chicchi allo scoccare della mezzanotte!
12 acini quanti sono i mesi dell’anno venturo da rendere fortunati e quanti i rintocchi dell’orologio che suonano la mezzanotte! Anche questo frutto, dalla forma tondeggiante, simile a delle monete, ritorna spesso sulle nostre tavole e pare debba essere mangiato per un nuovo anno all’insegna dell’abbondanza. Il simbolismo dell’uva e del vino è mito delle culture antiche. Per greci, egizi, romani, la vite, l’uva e il vino sono simboli di gioia, vita, amore, rinascita, pace e rivincita sulla morte (tema caro anche al Cristianesimo). Secondo antiche credenze, infatti, con la sua abbondanza l'uva riportava la vita dove sembrava non esserci più. Lo sanno gli spagnoli, per i quali mangiare uva ai rintocchi dell’orologio della Real casa de Zorreos a Puerta del Sol di Madrid è quasi un dovere e ai quali dobbiamo parte di questa consuetudine: pare infatti che nei primi anni del Novecento, ad Alicante, ci si imbatté in un’annata di vendemmia particolarmente abbondante, motivo per cui i viticoltori della zona, per smaltire l’uva in eccesso, iniziarono a spargere la voce che i chicchi d’uva mangiati a Capodanno portassero fortuna.
Riso
Così come lo si usa ai matrimoni per augurare felicità e prosperità ai novelli sposi, anche a Capodanno un risotto non dovrebbe mancare, magari sfumato con qualche goccio di vino bollicine per festeggiare con un bello stappo – che scaccia anche gli spiriti maligni secondo alcune leggende… – anche in questo caso, il chicco e la sua forma richiamano fortuna e soldi, anche se, leggenda vuole, che i romani usassero lanciare il grano durante i matrimoni, perché il riso arrivò in occidente in età moderna portato dagli arabi in Spagna e Sicilia e a lungo rimase un ingrediente relegato alla vendita nelle drogherie insieme al resto di ingredienti esotici come le spezie. Solo nel ‘400 si accolse la sua coltivazione e si riconobbe nel riso il grande valore nutrizionale che poteva sfamare i contadini. Fino al ‘700, comunque, tracce di risotti nei ricettari non ce ne furono, proprio perché considerato un alimento per poveri, ma da lì in poi fu la riscossa del riso che lo vede il Re indiscusso dei primi piatti locali.
Maiale, ecco spiegato il perché del cotechino o dello zampone…
Il maiale, nella società contadina, è da sempre simbolo di abbondanza, sazietà, prosperità, salute e felicità. Del maiale non si butta via nulla, come ben sappiamo, e per molte famiglie, se pensiamo anche solo ai nostri nonni, rappresentava un’abbondante riserva di carne e grasso per combattere il freddo e la fatica, ma anche una risorsa da utilizzare come merce di scambio in caso di improvvisa necessità economica, oltre che essere una carne povera ma estremamente nutriente. Proprio da qui nasce, forse tra il XVIII e il XIX secolo, la tradizione di dare ai salvadanai l'aspetto di un porcellino di coccio, come metafora di lungimiranza e parsimonia. Il cotechino e lo zampone sono protagonisti delle feste natalizie in Ticino perché tipici prodotti della mazza del maiale, usanza oggi in disuso tra i più, ma un tempo estremamente sentita nelle comunità rurali. Allora, infatti, si mangiava un cotechino o uno zampone, oppure, se la famiglia era poco numerosa, un “cappello del prete”.
Cappone
Un bel cappone ripieno, magari con alcuni degli ingredienti qui citati, o un bel brodo di cappone, dovrebbero essere quantomeno il ricordo di gran parte di noi essendo un’usanza e una pietanza ereditata dalle tradizioni del Nord Italia, soprattutto di Lombardia e Piemonte. Sia i contadini che i signori, non potevano farne a meno, perché simbolo di abbondanza e agiatezza. Il cappone, infatti, se si era contadini lo si allevava all’ingrasso con quanto di meglio si aveva a disposizione e lo si teneva poi per le feste a fronte di sacrifici durante l’anno, oppure lo si vendeva a prezzi molto alti, proprio perché ritenuto un mangiare di “lusso”. In Lombardia, addirittura, ogni famiglia allevava almeno quattro capponi, per essere poi mangiati rispettivamente a Sant’Ambrogio, a Natale, a Capodanno e all’Epifania. Un’usanza che anche il Manzoni richiama nei Promessi Sposi, quando racconta di Renzo Tramaglino che regala quattro capponi all’avvocato Azzaccagarbugli. Nella maggior parte dei casi veniva consumato arrostito e ripieno di ogni ben di dio: salsiccia o altri insaccati di maiale, noci, castagne ma anche mele o prugne.
Oltre a essere cucinato farcito, è molto buono anche arrosto, oppure lesso per ricavarne un brodo tra i più gustosi, adatto per cuocere ravioli, tortellini, maltagliati all’uovo e altre paste ripiene tipiche delle feste.
Una piccola curiosità: il nome “cappone” deriva dal verbo greco “kopto” che tradotto significa “tagliare”, legato all’operazione di castrazione che subisce il pollo. A questo tipo di trattamento, che ha origini molto antiche, si deve una carne molto più saporita, tenera e succulenta di quella del pollo normale, particolarmente adatta per la preparazione di ricette da acquolina in bocca.
Maialini di marzapane
Del perché la figura del porcellino sia cara e di buono auspicio per il nuovo anno lo abbiamo già accennato in precedenza, ma cosa dire dei maialini di marzapane tanto cari alla Confederazione? Beh, il termine marzapane, in sé, simboleggia la ricchezza, dato che il nome deriva dall’arabo “mau-thaban” che era il nome di una moneta d'argento mediorientale e corrispondeva canonicamente a un certo quantitativo di impasto dolce fatto con zucchero, mandorle e acqua di rose.
Le origini del marzapane sono generalmente fatte risalire al periodo delle Crociate, intorno all'anno Mille, quando l'influenza araba e mediorientale arrivò in Europa e in particolare si diffuse in Sicilia durante la dominazione araba.
Questa pasta dolce, la cui ricetta oggi è a base di albume d'uovo, miele o zucchero e mandorle sminuzzate, oggi trova largo impiego durante il Capodanno di tanti Paesi e sempre a sotto forma di maialino: da noi in Svizzera, ma anche in Germania, Norvegia e Austria dove confezionano i Glücksschwein, così come nei Paesi anglosassoni in cui alla dolce pasta malleabile viene data la forma di piccoli animaletti da scambiarsi durante la notte di San Silvestro. Per tutti, queste dolcissime bestiole portate in dono auspicano forza e prosperità.
Vino, purché siano bollicine, il cui stappo faccia il botto!
Ovunque è indispensabile il brindisi della mezzanotte con dello spumante o vino frizzante che, stappato a mezzanotte esatta, faccia il botto: questo rumore, come quello di petardi e fuochi d’artificio, secondo credenze popolari, servirebbero a scacciare gli spiriti maligni che si scatenano in un momento di passaggio dal vecchio al nuovo anno, dalla fine all'inizio del tempo. Ecco da dove viene l’usanza dei "botti" ai giorni nostri, che esaltano la festa per l’arrivo del nuovo anno.
I vini per le feste natalizie
La consulenza 13.12.2023, 12:50