"Ci stiamo già organizzando in vista di un confronto davanti al popolo tra le ragioni del sì e quelle del no". Così Manuele Bertoli, capo del dipartimento dell'educazione ticinese (DECS), reagisce alla notizia del referendum contro il "suo" progetto, quello della "Scuola che verrà". "È un diritto democratico, auspico che ci sia un dibattito effettivo e leale sul tema, sottoposto a votazione il 23 settembre, non su altre cose che con il tema non hanno nulla a che fare", aggiunge. Bertoli ricorda anche il lungo cammino di quello che doveva essere il "collaudo" di un nuovo modello previsto proprio dopo l'estate: "Ha avuto un'evoluzione importante, non è più quello della consultazione, oggi è maturo".
Il "ministro" non esita a criticare il motto usato per promuovere questo referendum: "Usare lo slogan "No allo smantellamento della scuola" ha senso a fronte di tagli, è assurdo usarlo quando c'è un investimento supplementare di svariati milioni, come in questo caso".
Il fulcro del progetto consiste nel considerare il più possibile l'individualità dell'allievo attraverso una strutturazione della scuola che permetta al docente di essergli più vicino con diverse lezioni "a metà classe" (il docente vede metà degli allievi nell'arco di una lezione e poi l’altra metà durante un’altra ora) e altre lezioni con un doppio docente. Questo permette un lavoro differenziato orientato alla diversità degli allievi.
"Se la "Scuola che verrà" passerà l’ostacolo del voto popolare - si legge invece in un comunicato dell'UDC - sarà legittimato e ci rassegneremo; ma se, come crediamo, il popolo boccerà la sperimentazione, il discorso di una riforma scolastica non cadrà di certo, semplicemente dovrà essere studiata meglio".
Notiziario RSI Rete Uno, ore 14.00/px